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SAN LUCIDO

 

Difficile è stabilire in che epoca venne fondato questo paese; si vuole sede della magno-greca Temesa, città che, in qualche modo, riuscì a sopravvivere fino al periodo dell’invasione araba della Sicilia e, in special modo, della conquista di Taormina in seguito alla quale un gran numero di monaci Basiliani si rifugiarono in Calabria. Alcuni di costoro si fermarono sulle falde del monte Sant’Angelo ove edificarono il convento di Santa Maria di Monte Persano. Si chiamò Santo Lucido ed anche S. Lociro e si distinse come centro marinaro di prim’ordine.

Il suo destino feudale fu diverso dagli altri paesi limitrofi giacché venne donato, nel 1092, da Ruggero, duca di Calabria, all’arcivescovo di Cosenza. Nel 1494 la chiesa lo permutò con le terre di Saetta, nel comune di Terranova, Volta di Carlo Curto presso Corigliano e San Lorenzo nel territorio di Tarsia, appartenute al principe di Bisignano e poi confiscate. La famiglia Carafa l’ebbe in feudo dal 1494 al 1604; per successione femminile, passò ai Carafa d’Anzi dal 1604 al 1611. Per un anno soltanto appartenne ai Tolfa (1611-1612) per passare ai Sangro dal 1612 al 1746. Dopo quest’ultima data, vi compaiono i Ruffo di Baranello fino al 1806. Nel corso del ‘500 subì sanguinosi assedi da parte dei turcheschi.

La Chiesa di San Giovanni Battista venne eretta nel sec. XVII ed elevata a parrocchia nel 1745. In evidenza un interessante portale in pietra calcarea del sec. XVII fiancheggiato da alte lesene con capitelli e motivi a foglie e volute che accompagnano false colonne. L’arco a tutto tondo e l’architrave sono sormontati da cornici semicircolari. L’interno è trinavato con altari laterali. A destra, dopo l’ingresso, acquasantiera in marmo sormontata da una croce processionale con crocifisso in legno e decorazioni metalliche. Più avanti è posta una tela di F.S. Jorio del 1789, opera tardo barocca raffigurante il Battesimo di Gesù; questo pittore, sconosciuto alla critica, risente di una cultura pittorica ascrivibile al Solimena e al Cortona, ma in alcune parti presenta reminiscenze giordanesche. Più avanti, Madonna Assunta con Apostoli del ‘700 e statua della Madonna col Bambino posta in una nicchia. Segue una bella tela raffigurante la Vergine con le anime purganti, attribuita al Pascaletti. In sagrestia, tela della Madonna del Carmine e statua di San Vincenzo Ferreri, opera lignea del sec. XIX, restaurata nel 1959 da G. Marina da Trebisacce. Ritornati in chiesa, eccoci di fronte alla cappella del Sacro Cuore con omonima statua; segue crocifisso ligneo sette-ottocentesco. In fondo, tela raffigurante la Madonna con santi. Nel coro, statue processionali (Immacolata, San Giuseppe col Bambino, San Giovanni Battista e un Cristo nella bara). Sulla navata sinistra, cappella con tela raffigurante la Deposizione di anonimo pittore del sec. XIX.

La cappella di Santa Lucia reca una statua della santa; inoltre: affresco raffigurante San Vincenzo Ferreri; statua della Madonna col Bambino; affresco di poco pregio che ritrae i SS. Pietro e Paolo; tela del sec. XIX su cui è ritratta Santa Lucia. Sulle pareti delle navate in apposite nicchie, statue raffiguranti: Sant’Antonio, Madonna di Fatima, San Francesco di Paola; quest’ultima è opera di Carlo Santoro da Fuscaldo del 1854. Ancora, tela di Antonio Granata del 1786 che ritrae la Madonna delle ciliegie. L’altare Maggiore è in marmi policromi. In attesa di restauro e sistemazione, tela ottocentesca che ritrae la Madonna col Bambino e i Santi Gioacchino e Giuseppe e un olio su tela dipinto nel 1884 da Carlo Scognamiglio che raffigura San Vincenzo Ferreri. Il monumento sepolcrale del col. Alessandro Mandarini è del sec. XIX. Accanto alla chiesa si erge il castello feudale noto perché, nel 1744, vi nacque il cardinale Fabrizio Ruffo, capo della famosa Armata della Santa fede o Sanfedista.

La chiesa dell’Annunziata o di Sant’Antonio la cui costruzione ebbe inizio per volere di Simonetta Colonna, contessa di Belcastro, l’8 ottobre 1426, appartenne ai frati Minori Osservanti di San Francesco d’Assisi. Nel ‘700 l’edificio venne ampliato con la contestuale ristrutturazione di parti ormai degradate e bisognevoli di restauri. Al giorno d’oggi, le linee originali sono state quasi del tutto cancellate. La facciata è un bell’esempio di arte gotica monastica del periodo aragonese; si presenta con uno spazioso frontone tricuspidato e portale ogivale costruito in pietra. La vecchia torre campanaria, crollata nel 1885, è stata riedificata nel 1910. L’interno è mononavato con 5 campate a crociera ed archivolto su poderosi pilastri. Gli altari della Vergine Immacolata e di San Pasquale di Baylon, entrambi particolarmente venerati dai Francescani, sono in marmi policromi del 1791. Su quest’ultimo è posta una statua del santo modellata in legno e dipinta da ignoto scultore locale del ‘700. Di analoga fattura è l’altare maggiore, costruito nel 1769. La balaustra ha le medesime caratteristiche. La zona absidale conserva, come già accennato, qualche residua traccia dell’originaria impostazione gotica e una tela del 1837 di artista anonimo raffigurante l’Annunciazione. Il ciborio ha una bella porta su cui è sbalzata su rame la figura di Cristo Risorto (sec. XVIII). Di notevole interesse artistico sono due pannelli formanti il paliotto marmoreo che reca scolpita a bassorilievo una scena della Deposizione con l’inconsueta presenza degli apostoli, unico residuo di un antico altare del 1506, opera di artista siciliano, distrutto, si dice, in seguito ad incursioni barbaresche. Ancor degni di nota sono due pannelli marmorei figurati provenienti da bottega toscana del sec. XV. Si tratta di una predella d’altare con tre "pezzi", su cui sono raffigurati a bassorilievo l’Annunziata e l’Angelo annunciante. Di un certo interesse, è la tribuna dell’organo decorata con figura di donna.

I sotterranei della chiesa contengono ancora cripte sepolcrali nelle quali venivano sepolti i religiosi del convento. Interessanti i dipinti: San Giuseppe col Bambino con i SS. Lucia e Rocco, tela settecentesca attribuita ad A. Granata; la Pietà con un angelo e San Francesco di Paola; e Sant’Antonio da Padova, entrambe opere con le medesime attribuzioni della precedente. Di ignoti pittori del sec. XVIII, sono anche: la Gloria di San Pasquale, la Madonna col Bambino con Sant’Alfonso ed un vescovo, la Vergine con le Sante Rita e Chiara.

La chiesa del Rosario, edificata per munificenza di Carmelo Iannuzzi nel 1830, come viene attestato nella lapide ricordo, oltre ad interessanti statue processionarie, ne contiene una lignea della titolare scolpita da artista partenopeo del ‘700. La volta è interamente dipinta a tempera da Eduardo Fiore (sec. XVII) con scene dei Misteri; alcune opere sono state recentemente restaurate, altre versano in precarie condizioni.

In pieno centro storico, chiesetta della Pietà (Santa Maria di Gerusalemme) con statue di San Giovanni Battista e dell’Addolorata.

In località Marina Taverna, la chiesetta di San Leonardo, edificata nel XVII° secolo e ridotta a rudere dalle intemperie, terremoti ed altre erosioni del tempo e del cui stato si lamentava lo storico Giovanbattista Moscato già nel 1895, è stata da poco restaurata e restituita agli onori del culto ad opera di Marcello Lattari, ultimo proprietario, in ordine discendente, della chiesetta che, dalla prima metà del XIX° secolo,era patrimonio di famiglia. Degno di nota il portale barocco in pietra arenaria e le mura costruite non con materiale di cava ma con pietre di diversa natura trovate sul posto. All'interno, la statua di San Leonardo del XVIII°-XIX° secolo; olio su tela del XVII° secolo raffigurante la Madonna del Rosario, scuola bolognese, cerchia di Guido Reni; olio su tela del XVII° secolo raffigurante la Madonna della seggiola (copia seicentesca del Raffaello) di scuola toscana ; olio su tela incollata su tavola  del XVI°-XVII° secolo, raffigurante la Madonna col bambino, di scuola senese; olio su tela raffigurante Sant'Anna con la Madonna e San Gioacchino del XVIII° secolo di scuola toscana; un pulpito ligneo ed un confessionale con decori dell'epoca, ambedue del XVII° secolo; un altare ligneo scolpito ed intagliato tra il XVIII ed il XIX° secolo da ignoto artigiano crotonese per la famiglia del Marchese Albani, il cui stemma nobiliare è scolpito nel mobile, donato dal marchese Albani a Eraldo Lattari; un grande candeliere a 36 fiamme in bronzo dorato e cristalli di Boemia, adattato solo negli ultimi tempi a lampadario con impianto elettrico, della prima metà del XIX° secolo; una lampada votiva in argento cesellato da orafo napoletano per conto del baronetto Guglielmo Staffa, figlio del più famoso ed illustre padre Barone Felice Antonio Staffa, antenati del Marcello Lattari. La chiesa, pur essendo privata, può essere visitata su richiesta.

Tra gli scogli, si trova la Pietra di Cilla; con questo nome si chiamava una avvenente ragazza figlia di pescatori che attendeva sullo scoglio l’arrivo dello sposo. Vi si recava anche di notte a scorgere la luce delle lampare, fino al giorno in cui l’amato non fece più ritorno sulla spiaggia. C’é chi pensa che ancor oggi il lamento della ragazza si confonda col rumore dell’acqua che si infrange sugli scogli.

Durante la festa di San Giovanni, gruppi di persone, danzando al suono di tamburi, percorrevano le strade del paese per tutta la notte sino all’alba, inneggiando al loro santo patrono. In passato avvenivano delle sfilate di carnevale davvero singolari: le maschere raffiguravano dei diavoli vestiti di nero col mantello rosso; sfilavano a cavallo per le strade del centro e con i loro tridenti bussavano violentemente alle porte di coloro i quali si ritenevano responsabili di fatti delittuosi o scandalosi. Se costoro non avessero dimostrato di essersi pentiti, sul paese si sarebbero abbattuti lutti e sciagure.

Si diceva: «Pezzevecchiari di Santu Lucitu» e veniva chiamato il paese delle quattro f: fumo, fame, fieto e formiche.

Costume tradizionale: «Corpetto. Gonna a mille pieghe; s’imbottiscono per parere groppute; aperte a metà le mammelle. Larghe trecce legate con nastro verde (se zitelle), rosso (se maritate). Inoltre, maniche staccate a nocche, mostriatura (risvolto) e fazzoletto in testa».

Tratto da L.Bilotto - Itinerari della provincia di CS

 

MANDALARI M., Sulle tracce di un paese scomparso, Cosenza, MIT, 1972;

CARRATELLI O., Le colonie marine di San Lucido e Belmonte, in «Calabria Fascista», I. XI. 1931;

MOSCATO G.B., San Lucido di Cosenza;

STAFFA R., Clampetia ecc. e notizie sulla Calabria, Cosenza, S.C.A.T. s.d..

 
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