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SAN GIORGIO ALBANESE

Il paese deve la sua discendenza all’arrivo dei profughi albanesi in Calabria. Dalla sua appartenenza al ricchissimo casato dei principi di Bisignano, passò, nel 1633, ai Saluzzo, nobile famiglia genovese che vi governò incessantemente fino al 1806.

La parrocchiale di stile barocco, colpisce per la maestosa torre campanaria quadrangolare con cuspide finale e singolare cupola bizantineggiante costituita da tegole disposte a cerchi concentrici. All’interno, trinavato, sono custodite le seguenti statue lignee: Madonna del Rosario ( ‘700), San Giorgio martire (‘700), Immacolata (‘800), Santa Lucia (‘800), San Francesco di Paola (‘800), Madonna delle Grazie (‘700), Angeli che reggono la Madonna di Scutari (‘700), Crocifisso (‘800), Sant’Antonio da Padova. Il gruppo statuario della Pietà è della bottega del Guacci da Lecce (in cartapesta dell’800). Il pittore V. Longo dipinse Sant’Anna e la Vergine (1890) e Santa Lucia (1894). Le altre tele sono di ignoti dell’800: Sant’Antonio da Padova, San Giorgio, Pentescoste, Madonna di Schiavonea, Pietà, Scena del Vecchio Testamento.

Il "giorno dei morti", che secondo il calendario degli Arbresh, cade la domenica di Pentecoste, i defunti, ottengono dal redentore il privilegio di poter ritornare in vita e di rimanervi per otto giorni, alla fine dei quali, accompagnati dal triste suono delle campane, ritornano nelle loro tombe. Nel primo giorno ognuno si reca al cimitero a trovare i propri cari e a dimostrare quasi uno scambio tra i vivi e i morti, si apparecchia come una tavola imbandita la tomba del defunto e vi si consuma il cibo portato. Questo rituale è noto come festa dell’astanteria e collega la cultura albanese con quella dell’antica Grecia. Il pane e il vino li troviamo nell’uso italo-albanese. I cibi devono essere caldi per contrastare il freddo della morte, il banchetto funebre tende a consolare attraverso il cibo la perdita del congiunto. In origine non era celebrato per nutrire ma accomunare i vivi e i morti; nell’Iliade, per esempio, Achille fa preparare una pira per far scannare dei giovani troiani.

La festa delle nozze è altrettanto suggestiva: mentre le amiche della sposa provvedono a sistemare il variopinto abito nuziale, due cori con voci alterne mettono in guardia la sposa dalle insidie che potrà trovare sul suo cammino, pregandola di tollerare una suocera troppo invadente o le gelosie dei parenti. Quando ella è pronta, arriva il futuro marito che tra gli spari d’arma da fuoco, cerca di forzare la porta, mentre qualcuno da dentro tenta di impedirglielo. Ci si reca quindi in chiesa dove ha luogo il cerimoniale più suggestivo: il pàpas (il sacerdote di rito greco), offre del vino agli sposi in un comunissimo bicchiere che poi viene frantumato a terra; per tre volte pone e ripone sulle loro teste delle corone di fiori incrociandole alternativamente, quindi offre il lembo della stola e, insieme, girano per tre volte intorno all’altare.

Tratto da L.Bilotto - Itinerari della provincia di CS

 

DE LUCA P., La strage dei pettinai, Soveria Mannelli, Rubettino, 1986;

TOCCI G., Notizie storiche e documenti relativi ai comuni di S. Giorgio Albanese, Vaccarizzo, S. Cosmo, Macchia, S. Demetrio, in appendice alle due memorie sulle questioni di scioglimento di promisquità con Acri, 1898.

 
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