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MALITO

Si tratta di uno dei casali fondati o ripopolati dai cosentini in fuga in seguito alle invasioni saracene del sec. IX. Con l’ordinamento amministrativo instaurato nel decennio francese, e più precisamente nel 1807, era considerata università del governo di Carpanzano, situazione confermata nel 1816. Nel 1928 venivano accorpati a questo centro, altri comuni soppressi (Altilia e Belsito) ai quali nel 1937 si restituiva la dignità di paesi autonomi.

In Piazza XI febbraio si erge la chiesa di Sant’Elia. L’ampia facciata laterale, posta sul lato ovest, è in pietra altiliese e presenta un ingresso sopraelevato su gradinata; lo stipite è in blocchi di pietra con colonnine che si elevano da basi lavorate e sorreggono capitelli con fregi. Il portale, con arco a tutto sesto con chiave di volta lavorata a forma di foglia, racchiude un portone in noce rivestito da lamine di ferro. Il finestrone con stipite in pietra è impreziosito da lunetta e cornicione finale dentellato. La facciata secondaria, esposta a nord, ha un portale con stipiti in tufo e arco a tutto sesto; al di sopra, tre finestroni a mezza luna. Sullo stesso lato, torre campanaria realizzata con pietra d’Altilia, con cordoli e finestrone impreziosito da colonnine e fregi in pietra, sopraelevazione con finestroni con archi a tutto sesto e chiave litica a trifoglio. L’interno è basilicale a tre navate; quella di destra presenta un ambiente con volte ogivali fortemente strombate. Sulla parete centrale, dipinto ad olio su tela di anonimo raffigurante la Madonna in gloria tra santi; più avanti, confessionale barocco e lapide a ricordo dei restauri effettuati intorno al 1950 e altare con statua della Madonna, entrambi in marmo. In fondo, altare con marmi policromi con statua del Sacro Cuore. Nella navata sinistra si apre la porta d’accesso secondaria. Vi si notano la balaustra in legno e la scaletta d’accesso al coro; anche qui volte ogivali fortemente strombate e lapide commemorativa dei restauri del 1956. Poi, confessionale barocco in noce, altare di marmo grigio stilizzato alla cui base è posto un sarcofago con Cristo deposto e sopra un crocifisso quattrocentesco. In fondo, altare barocco con stucchi dipinti in oro e statua di San Francesco d’Assisi. La volta è a botte decorata con dipinti racchiusi in medaglioni raffiguranti: Cristo che predica tra la folla, SaNt’Elia assunto in cielo, la Maddalena. Sempre sulla volta, finestroni con profilo archiacuto e dipinti. Sulla navata destra, le seguenti tele: Discesa dello Spirito Santo, il Buon Pastore, la Fede luce del mondo. Quelle della navata sinistra raffigurano: l’Eucarestia, S. Lucia, il Corpo di Nostro Signore. Sulla destra, pulpito barocco. L’arco santo contiene una nicchia con statue di Sant’Antonio e della Madonna delle Grazie. Il leggìo, l’altare e il fonte battesimale in pietra, sono di recente fattura. Il presbiterio è sopraelevato e l’abside con cupola reca dei dipinti raffiguranti episodi biblici. Sull’altare maggiore, policromo barocco, bella tela raffigurante S. Elia con Madonna in gloria.

Nel caso di un decesso, come in altri paesi della Calabria, a Malito, si spegneva il focolare e le donne con i capelli spettinati, iniziavano il lamento funebre sedendo sulla soglia del focolare o sopra dei materassi gettati a terra. Gli uomini col cappello in testa e il mantello sulle spalle, coprivano il loro viso, non essendo dignitoso mostrare le lacrime; dormivano per terra e non cambiavano la camicia se non dopo un mese dal triste evento. Se a morire era un uomo, mentre la vedova si strappava i capelli, le parenti la aiutavano a straziarsi il viso ed il corpo picchiandola anch’esse. La scena assumeva toni più intensi quando il cadavere usciva di casa.

Un metodo di divinazione popolare è offerto dal fuoco del focolare. Se la fiamma scoppietta, significa che qualche persona lontana sta parlando di noi ed indica buon augurio.

Costume tradizionale: "Una scrima. Camicia con sottana, poi gonna turchina o nera senza trine a grandi pieghe, giacchetta; fazzoletto in capo annodato. L’oro distingue le maritate".

Nella zona della Conicella c’è un masso sul quale si scorgono le impronte di un serpente e di un piede femminile; non ci vuole molto a capire che simboleggiano il peccato originale, ma si ignora l’origine di quei segni.

In tutta la provincia si credeva che un assassino per poter aver scampo e sfuggire alla legge, dovesse succhiare il sangue dell’ucciso rappreso sulla lama dell’arma adoperata, a Malito, se l’omicida aveva usato il fucile, soffiava nella canna come per scacciare lo spirito del morto attrattovi dallo sparo.

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 
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