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LAGO

Secondo alcuni studiosi, il nome sarebbe derivato dal latino Lacum oppure Lacus con riferimento alla presenza dell’acqua di un fiume o di un lago; oggi vi scorre vicino solo il torrente Licetto nelle cui prossimità sorge il paese. L’origine non ci è nota anche se, indubbiamente, visse intensamente le vicende legate ai due centri limitrofi più importanti quali Mendicino e Aiello. Ma non è il caso di fare storia per analogia, anche se i grandi movimenti migratori dei paesi circostanti dovuti alla presenza dei Musulmani, siano essi provenienti dal vicino emirato di Amantea, o al seguito del feroce Abul Al Casim, non potevano non interessare questa comunità. Emerge con sicurezza alla ribalta della storia dopo la conquista normanna della Calabria quando, nel 1093, il gran conte Ruggero ne fa omaggio a Nicodemo Arduino di Palermo.

Quasi un secolo dopo vi appare un tal Rainaldo Notaio. Nel corso del 400 è registrato lo scambio che ne fa Sansonetto Sersale con Francesco Morano che, a sua volta, gli cede il feudo di Pietramala. Le sue vicende feudali più importanti, però, restano legate all’arrivo del casato Cybo Malaspina i cui destini marceranno insieme fino all’eversione della feudalità La chiesa di San Giuseppe, anticamente dedicata a San Giacomo, risulta già attiva in un documento del 1574. E' dimostrata dai lasciti attestati dai protocolli notarili la devozione del popolo verso questo santo la cui chiesa, secondo don Nicola Cupelli, sarebbe stata edificata dagli Spagnoli contemporaneamente alla nascita del paese stesso.

Nel 1575, appare esistente in località Santo Iacono delimitata da un vicolo e da una strada detta volgarmente mondizzaro. Sin dal 1582 vi opera una confraternita intitolata allo stesso santo che nel 1776 ottiene il regio assenso e assume l’ufficiale denominazione di Maria SS. Immacolata, San Giuseppe e S. Giacomo. Nel 1880 l’edificio viene ampliato. Uno studioso locale riporta una curiosa ma non infrequente situazione esistente intorno agli anni venti di questo secolo, avente per oggetto la disputa di due fazioni - i combattenti e i popolari - le cui rivalità si proiettavano sia nelle manifestazioni a carattere civile, quali la realizzazione di due bande musicali, sia a carattere religioso.

La chiesa di San Giuseppe, per esempio, ospitava i combattenti, e spesso volendo dire che si andava ad assistere alle funzioni religiose in quel sacro tempio, si diceva: "vado ad ascoltare la messa alla mia chiesa di San Giuseppe combattente". Affermazione che induceva le autorità ecclesiastiche a chiedersi dove avesse mai combattuto San Giuseppe, e a quale fronte, plotone o reggimento avesse mai preso parte. All’interno, sull’altare maggiore, statua lignea dell’Immacolata, opera di ignoto scultore meridionale del sec. XIX, e interessanti candelabri in ottone; la porticina del tabernacolo, in argento, è del 1831. Sulla cappella destra, busto ligneo di San Giuseppe col Bambino, scolpito e dipinto da anonimo artista meridionale del sec. XIX. In sagrestia sono poste le seguenti opere: Immacolata con San Giuseppe e San Giacomo, olio su tela, di ignoto meridionale del sec. XIX; crocifisso ligneo ottocentesco; statua raffigurante San Giovanni Battista e l’agnello, opera di Antonio Spina del 1903; Presentazione al tempio, dipinto di ignoto meridionale del sec. XIX. Il confessionale e un armadio sono stati costruiti da Falsetti Franchino nel 1901. Inoltre, calice del 1830 e ostensorio del 1838, provenienti da bottega orafa napoletana; crocifisso ligneo del sec. XIX; organo di fine 700 - inizi 800.

La chiesa dell’Annunziata, risulta già operante agli inizi del sec. XVII. Il Chiatto, fa menzione di un atto notarile rogato il 7 aprile 1615, che dimostra come a quella data non solo esistesse la chiesa, ma fosse già attiva una confraternita. La facciata si presenta con portale ogivale, e torre campanaria a più scomparti, culminante con forma poligonale inusuale. All’interno, gruppo statuario raffigurante l’Annunciazione, scolpito da anonimo artista del sec. XIX; edicola lignea opera di artieri provinciali del sec. XIX che contiene la statua di San Francesco di Paola modellata in legno nel sec. XIX. Altre statue in legno (Gesù Bambino, San Giuseppe e la Madonna) del sec. XX, destinate con buona probabilità a rappresentare la scena della Natività, provengono dalla bottega dello scultore Cappadei di Firenze. Tra le opere in legno, vi sono dei candelieri molto alti, una cornice ovale, un leggio e un pulpito con confessionale veramente mirabili, scolpiti da Gabriele Falsetti.

Degno di nota è anche un capitello ottocentesco costruito con un impasto di polvere di pietra locale, secondo lo stile corinzio e volute di foglie d’acanto. In sagrestia, le seguenti opere: dipinto ovale raffigurante la Madonna col Bambino e San Giovanni Battista, opera di Raffaele Aloisio del 1826; dipinto ovale, olio su tela del 1826, senza firma, raffigurante la Madonna allattante;. Poi, Annunciazione, Visitazione ad Elisabetta, Incoronazione di Maria e Sposalizio della Vergine, gruppo di oli su tela di ignoti pittori meridionali del sec. XVIII. Di particolare pregio sono: una croce e dei candelieri in ottone del sec. XIX, un ostensorio dell’800, un calice del 1886 in argento dorato e una croce astile. Tra le altre opere custodite in sagrestia, si ammira un crocifisso ligneo di ignoto del sec. XIX. La chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola di Bari, come dimostra S. Chiatto, appare già attiva nella prima metà del sec. XIV, anche se vari autori ne indicavano la fondazione al sec. XVII. Qualche secolo dopo, il 5 ottobre 1557, risulta una sua consacrazione. Sicuramente l’odierno aspetto della facciata è dovuto a rifacimenti posteriori, giacchi sia il bel campanile cordonato in tufo con torre terminante a cuspide, che lo stemma dell’università di Lago, sono del 600. Il portale tufaceo, invece, opera di scalpellini provinciali, è del 1881. All’interno, altare maggiore marmoreo settecentesco con porta del tabernacolo in argento, proveniente da bottega orafa partenopea del sec. XIX. Il fonte battesimale in marmo è del 1601 e fu commissionato dal religioso Andrea Ceva, parroco del tempo, che vi fece incidere il suo cognome. Lo scultore Antonio Spina fu Ovidio di Lago, per questa chiesa, modellò due sculture in legno: una Santa Liberata del 1898 e un San Michele Arcangelo. Notevolmente belle sono anche le altre statue in legno, tutte scolpite nel corso del sec. XIX, che raffigurano rispettivamente: Sant’Antonio, il Sacro Cuore, la Madonna del Carmine, l’Assunta e San Nicola di Bari (busto).

In sagrestia, oltre ad arredi sacri, si custodiva una ricca serie di opere in argento (ostensori, reliquiari, ecc.). Nella sala parrocchiale, sono poste delle buone pitture ad olio su tela di anonimi artisti meridionali del 700, raffiguranti: la Madonna della neve, la Madonna del Rosario, la Deposizione, Santa Filomena, San Nicola e una tela di forma ovale che ritrae Santa Lucia. A Lago, secondo il Dorsa, si tramandava un’antica tradizione di cursunari.

Nella credenza popolare, le serpi nere nascondono l’anima di un uomo ucciso o di pagani erranti senza pace, tanto che quando se ne incontra uno si dice: "San Paulu Ceraulu, ammazza chissu; ammazza buonu chh nu maluomu", mentre le serpi bianche custodiscono anime del purgatorio e si ritiene fortunata la località che le ospita. A chi tenta di ucciderle, rimarrà il braccio bloccato. In questo paese, pare che talvolta, alla morte di una serpe, sia seguita quella del padrone del podere dov’era ospitata. Non solo, i serpenti indicherebbero ai cursunari anche dove sono le erbe medicinali, e costoro, com’è noto, dicono di avere la capacità di incantare i serpenti e renderli innocui.

Vengono anche chiamati ceraulari o sampaulari perché, come si rileva dagli atti degli Apostoli (c. 18), San Paolo non ebbe a soffrire alcuna conseguenza da una vipera che lo aveva morso ad una mano mentre poneva alcuni sarmenti al fuoco, durante una sua sosta all’isola di Malta. I laghitani pensano che all’interno della serpe alberghi uno spirito detto la Fata. La mamma che vede il proprio bambino mal nutrito, attribuisce la colpa ad una serpe che, di notte, le succhia il latte, sottraendolo al lattante, mentre lo stesso viene tenuto buono perché il serpente vi mette la coda in bocca e lo lascia poppare.

Per le festività del Natale, invece, c’è l’usanza del pane nataliziu, o massaru, che ha forma di corona, e che si lascia sulla tavola come un dono del cielo, da Natale all’Epifania. In quest’ultimo giorno, il genitore, dopo averlo benedetto, lo taglia e lo distribuisce a tutti i componenti della famiglia. Il giorno delle nozze, gli amici degli sposi offrivano la pitta (focaccia) agli amici della sposa; il cullaccio è un pane rituale che la sposa provvedeva a spezzare e a distribuire. A celebrazione avvenuta, la suocera aspettava la nuora sull’uscio e le consegnava le chiavi di casa. In tutti i paesi della provincia si usa cantare la strina in un periodo che, a seconda delle zone, varia da Natale a carnevale. E' un rituale beneaugurale che però a Lago assumeva significati diversi. Le orchestrine improvvisate per l’occasione anziché augurare salute e ricchezze, rivelavano ad alta voce le maldicenze della gente sulla famiglia alla quale veniva dedicata questa strana serenata. La tradizione era così radicata che una vendetta poteva essere compiuta solo con un altra strina.

Costume tradizionale: "Pannetto rosso, a cui si sovrappone la gonna o verde o blu; pettiglia e giacchetta. La maritata porta la cocchiglia, cioè un merletto largo al collo della camicia".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CHIATTO S., Storia di Lago e Laghitello; IDEM, Catasto Onciario di Lago, Cosenza, Santelli, 1993;

LIBERTI R., Storia dello stato di Aiello in Calabria (Aiello, Serra Aiello, Cleto, Lago, Laghitello, Savuto), Oppido M., Barbaro, 1976.

 

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