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GUARDIA PIEMONTESE

Il nome ha origine da una torre attorno alla quale si era formato un piccolo villaggio. Ma appare alla ribalta della storia quando i Valdesi, abitanti di alcune valli del Piemonte chiamate Vaux si erano, nel 1180, convertiti alla religione di Pietro Valdo, seguace di una adesione completa al Vangelo e alla sua concezione di vita semplice e primitiva. Dopo una prima ondata di profughi provenienti dalle Valli Pellice e Angrogna, che, per sfuggire alle persecuzioni della chiesa cattolica nelle loro terre d’origine, si stabilirono a Guardia, altri Valdesi, ribellatisi a Filippo II di Savoia nel 1496, giunsero in Calabria l’anno successivo regnando Federico II d’Aragona.

Oltre a Guardia, in misura minore, vennero anche ripopolati i villaggi di San Sisto, Vaccarizzo, Santa Maria della Castagna, San Vincenzo la Costa. Al tempo della Riforma, riuscirono ad avere dalla casa madre di Ginevra, anche un ministro per il loro culto. Ma il clima della Controriforma fece sl che il cardinale Michele Ghislieri, futuro Pio V, ex padre domenicano, facesse giungere a Cosenza Annibale Mores, giudice della gran corte della vicaria con una pattuglia di soldati armati. Per espugnare la torre nella quale si erano asserragliati i Valdesi, si dice che il marchese Salvatore Spinelli, finse di mandarvi prigionieri alcuni suoi soldati i quali, dall’interno diedero inizio alla terribile repressione guidata da egli stesso insieme con il marchese di Buccianico e Ascanio Caracciolo.

I Valdesi furono bruciati vivi e sgozzati, e ai superstiti, fu proibito di sposarsi prima di convertirsi. Per normalizzare le cose fu costruito un convento di Domenicani. Fu prima casale di Fuscaldo guidato dall’omonima famiglia, per passare poi ai Tarsi, ai Del Poggio, ai Ruffo di Montalto, ai Marzano. Dal 1496 al 1806 fu ininterrottamente feudo della famiglia Spinelli. Detta in un primo tempo Guardia Lombarda, per indicare un paese abitato da gente del nord, assunse l’attuale denominazione nel 1863. Si entra dalla Porta del Sangue e si notano ancora cospicui avanzi della cinta muraria cittadina con postierle; in alto, ruderi del castello di Waldeck (dei Valdesi) del periodo angioino ed aragonese. Il torrione cilindrico di dimensioni notevoli, è chiamato Torre di Guardia.

La parrocchiale, dedicata a Sant’Andrea, è una costruzione secentesca ritoccata nel secolo successivo; la facciata, infatti, mantiene le tracce del secondo rifacimento e versa in condizioni veramente precarie. Il portale litico barocco è sovrastato dallo stemma municipale scolpito in pietra e recante la data del 1795 probabile epoca del suo rifacimento. All’interno, mononavato, partendo da sinistra, statua di San Vincenzo Ferreri e statua di Santa Lucia; poi, ampia cappella con 4 sculture sette-ottocentesche: Crocifisso ligneo, Addolorata, Cristo nella bara, Addolorata. Segue una tela raffigurante l’Annunciazione. Nell’abside, statue ottocentesche dell’Immacolata, Gesù Risorto, Sant’Antonio e, al centro, il santo titolare, appunto Sant’Andrea. Sulla parete destra, altre statue sette-ottocentesche: Sacro Cuore, San Giuseppe, Madonna del Carmine, Madonna delle Grazie.

La chiesa del Rosario, un tempo tutt’una con l’annesso convento dei padri Domenicani, presenta un interno mononavato con quattro cappelle per lato. Sulla parete sinistra, tela di ignoto meridionale del 600, raffigurante la Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina con, e questo è un fatto insolito, San Nicola da Tolentino e Santa Barbara. Nello stesso lato, in una cornice lignea riccamente intagliata con protomi di angeli e volute nelle parti laterali, con cimasa intagliata sorretta da due colonne fasciate, opera di intagliatori roglianesi della prima metà del 700, è racchiuso un dipinto ad olio su tela che ritrae Sant’Antonio che riceve il Bambino dalla Madonna, opera ottocentesca di ignoto locale. Accanto, altra cornice lignea simile alla prima, però senza cimasa, che delimita una tela raffigurante l’Immacolata, in basso i SS. Francesco da Paola, Pietro e Antonio da Padova col Bambino, opera di pennello locale del 700-800. Simile a quella precedente, altra cornice lignea che riquadra la Madonna del Rosario tra San Nicola Abate e San Vito; anche il pittore deve essere lo stesso dell’opera precedente.

Nella stessa cappella, è conservato un busto ligneo scolpito e dipinto nella seconda metà del 700, da scultore meridionale, raffigurante San Vincenzo Ferreri. Nel presbiterio, Crocifisso tra le pie donne, tela ottocentesca di ignoto pittore meridionale. Inoltre, bello scannello di rame sbalzato e cesellato di fine 700 - inizi 800, utilizzato come base di una statua o portantina di una crocifissione, sul quale sono degli angioletti che recano in mano i simboli del martirio. Poi, stalli corali lignei intagliati e decorati con motivi ornamentali rinascimentali, dotati di postergali a colonnine decorate fantasiosamente con, al seggio centrale, il blasone dei marchesi di Fuscaldo, probabili committenti dell’opera che è attribuibile a intagliatori provinciali del 700.

Ancora oggi i guardioli parlano una lingua di tipo provenzale che richiama l’antica lingua occitanica, quella d’oc e le donne non più giovani portano il tradizionale costume valdese detto tramontana che evoca principi di castità. Le case erano fatte con frasche ed ora, rompendo un muro, escono tronchi, ma gli elementi maggiormente distintivi erano gli spioncini di cui erano dotate le porte, alcune delle quali ancor oggi visibili, che consentivano alle truppe dell’inquisizione di sorvegliare dall’esterno ciò che avveniva nelle case di coloro i quali erano ritenuti i leader valdesi e di controllare che gli stessi, nell’ora dell’Ave Maria, recitassero le orazioni volute dalla chiesa di Roma.

Nelle occasioni luttuose, per esorcizzare l’anima del defunto ed impedire che rimanesse nella casa nella quale era vissuto, si battevano le porte e le finestre, ripetute volte.

Lo scoglio della Regina deve il suo nome ad una leggenda: un re che viveva in quei posti con la sua consorte, vinto dalla noia, decise di imbarcarsi via mare per ritrovare se stesso dicendo alla moglie che una luce rossa all’orizzonte avrebbe annunciato il suo ritorno. Però ogni attesa era vana perché passavano giorni, settimane e mesi infruttuosamente. La regina sempre più sconsolata, anziché dalla spiaggia, volle salire sulla sommità di un grande scoglio che era nei pressi per vedere meglio l’orizzonte ma cadde nel mare in tempesta e scomparve. Ora si dice che nelle sere in cui il sole al tramonto diventa rosso, le anime del re e della regina si incontrano in una grotta in fondo agli scogli ed anche le onde più turbolente si calmano in omaggio ai due sovrani.

Costume tradizionale: "Gonna rossa, a cui è cucito il corpetto dello stesso colore. Non ha pieghe e somiglia ad un sacco. Maniche di velluto nero o di panno, legate con nastri all’anzidetto corpetto, e panno in testa". Reminiscenze di un rigorismo calvinista fanno sì che il vestito popolare comprenda un grembiule che, anziché alla vita, viene allacciato sopra il petto.

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

ALVARO C., Una comunità piemontese in Calabria, in "Le vie d’Italia", T.C.I., Milano, n. 10, 1927;

DE SETA E., Le Terme di Acquappesa e di Guardia Piemontese in provincia di Cosenza, Roma, 1904;

ROHLFS G., Avanzi linguistici di colonie valdesi in Calabria, in "Magna Grecia", 1968, n. 5.

 
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