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BUONVICINO

Unanimemente viene riconosciuto che tra la fine del 300 e gli inizi del secolo successivo i pochi abitanti dei borghi denominati Trigiano, prospiciente la costa tirrenica e messo più in alto, Tripidone e Salvato, l’uno di fronte all’altro alle sommità di due suggestivi speroni rocciosi, decisero di concentrarsi attorno ad una nuova località nei pressi dell’abbazia basiliana di San Ciriaco, che, costituendo realmente un buon vicinato, impose quasi il nome di Buonvicino. Naturalmente sull’origine dei nomi non è mai il caso di esprimere giudizi definitivi anche perché secondo altre ipotesi, la denominazione del paese potrebbe essere derivata da bombù (bachi), a testimonianza della intensa coltivazione del gelso e della conseguente diffusione dell’attività serica, o della produzione di cotone in questi luoghi.

E' sicuro comunque che il centro sorse nel comprensorio posto sotto la giurisdizione feudale dei Sangineto dei quali seguì le sorti fino a confluire nello stato dei Sanseverino fino al 1606, quando cioè, Buonvicino fu venduta per 10.200 ducati, a Fabio de Paola di Montalto. In seguito vi compariranno i Cavalcanti fino al 1806. Nel 1826 una grande carestia costrinse molte famiglie a lasciare il loro paese e a trasferirsi a San Sosti ove condizioni migliori facevano sperare in un avvenire diverso.

Il monastero di Santa Maria del Padre, si vuole fondato dal monaco basiliano San Cipriano verso la metà del sec. IX. Accolse San Ciriaco dopo che questi era rimasto a lungo in una grotta in località Venicelle, e che vi morì intorno al 1042. Le sue spoglie però rimasero dimenticate in un luogo ignoto a tutti. Verso la metà del 600, un predicatore di nome fra Daniele dichiarò di avere sognato San Ciriaco che gli indicava il posto ove riposava il suo corpo e che era un luogo pieno d’acqua. Nessuno gli credette e dovette andare da solo ad effettuare la ricerca che miracolosamente ebbe esito positivo. La salma fu posta nella chiesa e una sua reliquia custodita in una statua che era stata realizzata nel sec. XV da monaci Basiliani. Per questo sensazionale avvenimento si registrarono guarigioni prodigiose e miracoli.

Ancora nel 1686 Domenico Martire, ospite del barone Cavalcanti, poti constatare che il santo aveva sepoltura in quella chiesa. Ma il suo culto, evidentemente, non venne proseguito se è vero che già alla metà del 700 la chiesa era molto degradata. Per questo le spoglie di San Ciriaco furono traslate nella chiesa parrocchiale e poste nella navata sinistra.

Nel 1900 ne fu fatta verificare l’autenticità e nel 1905 si fece modellare una statua in argento massiccio dallo scultore napoletano Catello; il busto laminato con una teca appesa al petto, contiene un osso del santo. Le reliquie furono ancora spostate nel 1963 e poste nella cappella destra per essere definitivamente sistemate in un’urna di cristallo sotto l’altare maggiore.

La parrocchiale, venne eretta verso la fine del 500 nella zona nuova (per quei tempi). E' costituita da una navata centrale e da una laterale: quella sinistra (quella destra è finta). Il coro è sorretto da due colonne e da bassorilievi marmorei sottratti alla vecchia abbazia; di uguale provenienza è un’acquasantiera sulla quale è inciso uno stemma e una data: 1608. La chiesa venne radicalmente trasformata nel 1855 e abbellita con dipinti, affreschi ed elementi decorativi in stucco. Le colonne, nota Francesco Casella, sono con capitelli bizantini e le incisioni dei bassorilievi raffigurano frutti e cedri. Al centro della volta è affrescata una scena con San Ciriaco, l’Imperatore Michele e la figlia Marina mentre si compie il miracolo di Costantinopoli. Non poche le statue: Addolorata, Cristo nella Bara, Sacro Cuore, S. Antonio, San Francesco di Paola, Madonna del Carmine, Immacolata, Crocifisso, tutte di ignoti meridionali dei sec. XVIII e XIX. In una località a 720 metri d’altitudine è posta la chiesetta della Madonna della Neve, eretta nel 700; da quella posizione si possono scorgere le vestigia di Trepidone e di Salvato, oltre che un panorama stupendo.

Tra le località di un certo interesse, si annovera certamente il posto chiamato Zaccano; in dialetto con questo termine si indica un locale ove si ricoverano capre e pecore oppure maiali, a Buonvicino indica esclusivamente uno sperone roccioso.

Durante la processione in onore di San Ciriaco le donne del paese portano in testa i cosiddetti stoppelli, caratteristiche intelaiature di legno ricamate e ornate con ceri e fiori.

Molte credenze e superstizioni si ripetono qui come altrove: non si devono raccattare agli, spilli, pettini e bottoni trovati per terra, perché essendo adoperati per fare fatture, sono pericolosi; non bisogna bere direttamente da una fontana perché con l’acqua si pur ingoiare lo spirito di un defunto, correndo il rischio di diventare uno spirdato; quando un tizzone acceso sprigiona aria, i vicini mostrano la loro invidia e la loro malalingua.

A Buonvicino è sviluppata la tradizione di confezionare fuochi pirotecnici.

Ingiuria: Zaricchiari, (costruttori di Sandali di pelle grezza).

Costume tradizionale: "Veste come a Belvedere. Pannetto rosso in testa. Maniche staccate e separate lateralmente, e sono di velluto o di seta legate con nocche rosse o cremisi. L’anello distingue le maritate".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CASELLA F., Storia di Buonvicino, Cosenza, Fasano, 1980;

CERBELLI D., Storia della immagine della Santa Vergine del Pettoruto, Napoli, Cannavaccino, 1847;

RITONDALE F., Buonvicino, patria di San Ciriaco, Abate basiliano, in "Calabria letteraria", XXIX, 1981, n. 1. 3, 90.91.

 

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