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ACRI

Si vuole fondata dai Brezi, col nome di Acra, ma si ritiene anche eretta dai superstiti sibariti scampati alla distruzione della loro città da parte dei crotoniati; probabilmente si trattò solo di una immigrazione di questi profughi che la ingrandirono. Secondo un'altra ipotesi, venne fondata dai Japigi, una popolazione proveniente dall'Illiria o dall'Epiro che intorno al 1000 a.C. si insediò prima sul Gargano e poi in Puglia e Calabria.

Sede di una consistente comunità ebraica, divenne molto nota durante il Medioevo. Parteggiò per la causa angioina e per questo, dopo un lungo assedio, fu saccheggiata dalle armate di Alfonso di Aragona. Da quel momento fu fedele alla causa aragonese nella lotta contro l'invasione di Carlo VIII; ma anche stavolta, le scelte si rivelarono sbagliate: Acri fu messa a ferro e a fuoco, i suoi capipopolo fatti a pezzi e gettati nel letame. Successivamente, il 21 aprile 1597, divenne feudo di Bernardino Milizia, barone di Santa Sofia, che l'ottenne in dote dal suocero Nicolò Bernardino Sanseverino, assieme ai casali albanesi di Macchia, San Cosmo e San Demetrio.

A partire dalla rivoluzione napoletana del 1799, durante la quale vi fu innalzato l'albero della libertà e, fino ai primi mesi della conquista francese delle Calabrie, nel 1806, il paese visse in un clima di grosso scontro politico e sociale con fautori dell'una e dell'altra parte. Oltre alle efferatezze dell'armata sanfedista del Cardinale Ruffo, conobbe anche le gesta dei briganti che, nel primo anno del cosiddetto "decennio francese" seminarono il terrore nel paese e nelle sue contrade. Seguì la rappresaglia dei soldati transalpini che assediarono e saccheggiarono il suo centro abitato.

Vi ebbero i natali: Battista Falcone che morì nella Spedizione di Sapri e al quale è dedicato un monumento eseguito dallo Scerbo; Francesco e Saverio Sprovieri seguaci di Garibaldi nella Spedizione dei Mille; il Beato Angelo ed il letterato Vincenzo Padula. Il beato Angelo nacque il 19 ottobre 1669; dopo un periodo di noviziato, ottenne gli ordini sacerdotali; la sua principale attività di religioso fu la predicazione che svolse con passione nonostante avesse incarichi di prestigio all'interno del suo ordine monastico. Molto noto nel suo tempo per le sue estasi, per le sue profezie e per le guarigioni miracolose, resta maggiormente nel cuore dei fedeli per il suo ideale ascetico. Morì ad Acri il 30 ottobre 1739 e fu beatificato da Leone XII il 18 dicembre 1825.

Vincenzo Padula, nato il 25 marzo 1819, fu consacrato sacerdote nel 1843 dopo un periodo di crisi che aveva visto vacillare la sua vocazione. Frequentò le città di Cosenza e Napoli e partecipò attivamente ai moti risorgimentali che gli causarono la revoca del posto di insegnante nel seminario di Bisignano e, nel 1856, l'arresto in seguito all'attentato di Ageslao Milano alla vita di Ferdinando II. La sua opera letteraria ‚ nota, ma‚ d'obbligo mettere in risalto che il Padula fu uno dei primi studiosi della poesia e delle tradizioni popolari. Dalle pagine del suo giornale "Il Bruzio" emerge una Calabria a cavallo degli anni dell'Unità d'Italia, vista con realismo ed acume. Nonostante Alcune recenti pubblicazioni, gran parte della sua opera resta tutt'ora inedita e custodita nel comune di Acri.

La chiesa di Santa Maria Maggiore, eretta sui ruderi di un edificio romanico, come si vede oggi, è frutto degli interventi effettuati nel corso del sec. XVIII. Vi si accede da un'ampia scalinata. All'interno mantiene ancora resti dell'abside originaria con la scritta VI ANN. DVI - M.S. XX - XII. Nella navata sinistra, nicchie lignee con statue (Assunta, Cuore di Maria, Sacro Cuore di Gesù). Sull'altare maggiore, Assunzione di Maria Vergine, tela di anonimo pittore del sec. XVIII. Sulla navata destra, crocifisso ligneo del '300; bel tabernacolo di legno; nicchia lignea con statua di San Pietro. Recandosi nella parte più alta del paese, appare il palazzo Sanseverino appartenuto all'omonima potente famiglia calabrese ed edificato tra il sec. XVI e XVII. Venne restaurato nel 1720 da Stefano Maugerio; il salone dei ricevimenti è affrescato dai fratelli Zuccari da Sant'Angelo in Vado nel sec. XVI, con l'Allegoria del tempo e l'Eternità; nei giardini, busti marmorei.

La cinquecentesca chiesa di San Francesco di Paola, con annesso convento e chiostro, venne restaurata nel '700 ed interamente rifatta in stile barocco. Ha una navata del sec. XVI coperta da un soffitto ligneo settecentesco. All'ingresso, pronao con organo dotato di 150 canne di piombo. A sinistra, sul primo altare, dipinto raffigurante la Madonna del Rosario. Sull'altare della famiglia Alimena, Madonna in preghiera. Belli l'altare maggiore e quelli minori con cimasa e baldacchino intagliati da artieri locali del '700. Nella cappella di San Francesco, posta a sinistra, busto scolpito del santo; accanto, lapide dedicatoria con stemma della famiglia Bernaudo e data (1741). Inoltre, sepolcro di Luigi Sanseverino del sec. XVIII. Sulla volta, affresco raffigurante la Gloria e allegoria dei tre voti sacerdotali (castità, obbedienza, povertà). Di buona fattura, un confessionale ligneo con ricco intarsio. All'esterno della chiesa, torre campanaria con monofore e bifore.

Visibili, ancora, i ruderi del Castello feudale con avanzi di muraglie e monofore in tufo.

La chiesa di San Nicola di edificazione quattrocentesca, successivamente restaurata, ha un interno con arco trionfale ogivale ed elementi dell'antica struttura gotica. La pietra rossa posta sulla facciata, secondo la tradizione, rappresenterebbe il punto dove colpì una scimitarra saracena e da cui sgorgò il sangue come da un corpo ferito. Tra le opere d'arte, spicca la Pietà (Cristo deposto sul grembo della Madre, accanto a San Nicola di Sales e San Michele), dipinta ad olio su tela nel XVII secolo. Sull'altare laterale destro, dipinto raffigurante la Sacra Famiglia. Secondo alcuni, la campana posta sull'apposita torre, dimostrerebbe che la chiesa potrebbe essere addirittura del XI secolo.

La chiesa di San Domenico, cinquecentesca, con accanto il chiostro dell'antico convento, presenta una facciata con torre campanaria. All'interno, cappella del Rosario con altare composto da stucchi dipinti a vari colori ed ornamenti (uccelli, trofei, fiori); paliotto e cantoria in legno di artieri regionali del sec. XVIII; oratorio con portale in pietra di epoca rinascimentale. Tra le opere d'arte contenute nella congrega, fanno spicco: la statua della Madonna del Rosario, e un Ecce Homo in legno. Inoltre, l'Incoronazione della Madonna, l'Adorazione dei Magi, e la Fuga in Egitto, tutti dipinti su tela di anonimi provinciali del '700.

Fuori dall'abitato, a nord-est , si erge la chiesa dell'Annunziata. Le sue origini sono remote; è menzionata nella "platea" della diocesi di Bisignano del 1269 compilata dal vescovo Ruffino. Vi ebbe sede la confraternita della SS. Annunziata che nel 1799 redasse uno statuto per il necessario regio assenso. L'aspetto esterno è conferito dalla pietra calcarea bianca; la facciata‚ divisa in due scomparti: nella parte inferiore, sei colonne, tre per ogni lato, racchiudono il portale principale e due secondari, nella parte superiore sono poste quattro colonne; sul portone centrale, finestra con vetrate colorate raffiguranti l'Annunciazione. La torre campanaria, a pianta quadrata, conserva delle belle monofore ed un orologio con campane ad azionamento elettrico. L'interno, a pianta basilicale con tre navate divise da grandi pilastri rettangolari dai quali si dipartono archi a tutto sesto, presenta, nella volta, affreschi di Raffaele d'Alvisio di Aiello Calabro. Poi, pannelli di pala d'altare raffiguranti San Giuseppe e Sant'Anna, opere cinquecentesche di scuola napoletana; porta lignea intagliata; tela di Luigi Medollo da Corigliano del 1850. Nella navata sinistra, cappella con affresco della Madonna di Fatima, statua della Vergine e affresco raffigurante il Battesimo di Cristo. In una cappella successiva, dipinto raffigurante la Madonna di Guadalupe. Nella navata destra, cappella della famiglia Falcone con una Crocifissione di anonimo napoletano del sec. XVII; più avanti, cappella della famiglia Giannone con dipinto raffigurante San Nicola di Bari; segue cappella della famiglia Spezzano che fino a qualche tempo addietro custodiva una splendida tela del Santanna del 1776 raffigurante Santa Lucia con i santi Rocco ed Emilio. Nella cappella successiva, durante alcuni lavori di restauro, sono venute alla luce tracce di un affresco di probabile origine bizantina raffigurante una Deposizione. Inoltre, procedendo verso il presbiterio, alcune tele di anonimi pittori provinciali sette-ottocenteschi: Sacra Famiglia, Sposalizio della Madonna, Annunciazione, Adorazione dei Magi, Circoncisione. Nella cupola dell'altare maggiore, dipinti raffiguranti i quattro evangelisti, opere di Raffaele D'Alvisio, restaurate nel 1950 da Emilio Jusi da Rose. Sull'altare, Madonna del Carmine col Bambino. Ai lati, due affreschi di Guido Faita da Montalto Uffugo, raffiguranti rispettivamente i Discepoli di Emmaus e Gesù nell'orto.

Nella chiesa di Santa Caterina (o di Santa Croce), annessa ad un vecchio romitorio agostiniano, restaurata e trasformata a 3 navate da Giuseppe Leopoldo Sanseverino dei Principi di Bisignano, è custodita una tela di Cristoforo Santanna del 1767, raffigurante la Madonna col Bambino. Inoltre, il Trionfo della Croce, tela di anonimo del sec. XVIII; un olio su tela del sec. XVIII raffigurante Santa Caterina, restaurato nel 1837; coro ligneo settecentesco; stemma di Acri; lapidi marmoree delle famiglie Sprovieri (1775), Giannuzzi (1887), Cafonio (1810).

La chiesa dei Cappuccini, appartenuta prima alle Clarisse, è del 1590, la sua edificazione fu completata in appena cinque anni. Venne dedicata inizialmente a Santa Maria degli Angeli e successivamente all'Immacolata Concezione. Il convento fu soppresso il 7 agosto 1809, ma, sicuramente i frati rimasero nel paese e alcuni di loro si occuparono ugualmente della chiesa anche per custodire le spoglie del Beato Angelo. Con la Restaurazione, il convento venne riaperto e, il 18 dicembre 1817, già si provvide all'elezione del priore. Alla gioia degli acresi di vedere riaperto il loro convento si aggiunse quella del 18 dicembre 1825 giorno in cui il venerabile padre Angelo venne beatificato sotto il pontificato di Leone XII. Purtroppo il 7 luglio 1866 vi fu la nuova soppressione e la struttura sopravvisse solo grazie alla tenace devozione di Raffaele Falcone che acquistò il convento ed il giardino dal comune e lo affidò a padre Angelo della Regina affinchè vi ospitasse di nuovo i frati Cappuccini. Negli anni 1894-1898 la chiesa venne eretta in santuario in onore del beato Angelo, fu ampliata la struttura e vi sorse un seminario serafico. All'interno sono custodite interessanti opere d'arte tra le quali, una Deposizione, gruppo marmoreo in alabastro del '700, con figure a tutto rilievo di Gesù, della Madre, della Maddalena, di San Giovanni e di 2 angeli, opera di ignoto scultore napoletano. Inoltre, statue lignee dipinte tra cui un'Assunta del '700; un dipinto del Beato Angelo di Acri, un ciborio a forma di tempio intagliato ed intarsiato a madreperla, opera napoletana del '700.

La chiesa del beato Angelo. Edificata a partire dall'11 maggio 1893 a cura di Padre Giacinto da Belmonte, fu completata e consacrata nel 1898. Ha la facciata, con cornicione e lesene, ornata da 4 statue marmoree (San Francesco d'Assisi e Sant'Antonio da Padova in alto, l'Addolorata ed il Beato Angelo in basso) poste in altrettante nicchie, e belle torri campanarie a pianta quadrata cuspidate alte 31 metri. L'interno (m. 50 x 15) mononavato, con transetto sovrastata da cupola esagonale, esternamente rivestita da maioliche, ha la volta affrescata da V. Montefusco con scene della vita del Beato Angelo; nei pennacchi sottostanti, dipinti raffiguranti i quattro evangelisti. Nella parete sinistra, al di sopra di altrettanti altari, sono posti dei dipinti di anonimi raffiguranti: la Madonna del Carmine, il Beato Angelo, la Sacra Famiglia, San Nicola di Bari, e, nuovamente, il Beato Angelo che pone i suoi compaesani sotto la protezione dell'Addolorata; nel transetto sinistro, coro ligneo con tela raffigurante un crocifisso. La parete destra, contiene cinque altari: sul primo, tela raffigurante San Giuseppe, segue altra opera con la Madonna di Lourdes, poi San Francesco di Paola, il Cuore di Maria e Sant'Antonio da Padova. Vi si ammira un pulpito in marmi policromi retto da due colonne; nel transetto destro, fonte battesimale con dipinto raffigurante la Pietà. L'urna cineraria del Beato Angelo di Acri è opera di E. Sabatino da Osimo. Il 21 luglio 1980 la chiesa è stata elevata a basilica minore.

Tra le altre cose di rilievo: il monumento a Battista Falcone, uno degli ideatori della Spedizione di Sapri, scolpito da Giuseppe Scerbo da Polistena nel 1888; casa di Filippo Greco; la casa di Vincenzo Padula che attualmente ospita la biblioteca comunale ed il centro studi dedicato al noto letterato e poeta. Notevoli anche i palazzi: Sprovieri, Feraudo, Giannone, Gencarelli.

Bella anche la torre civica eretta sui ruderi di un antico maniero, che custodisce un orologio a pendolo opera di artisti francesi del '700.

Si dice che la notte di Natale le fontane scorrevano olio e le fate che assistevano allo straordinario evento, danzavano in omaggio alla nascita del Redentore. Inoltre, rapivano giovani ragazzi e ragazze dei quali si innamoravano, disperdendoli in campagna.

Il rituale delle nozze era suggestivo: Il pretendente la mano di una ragazza, di notte vi poneva innanzi la porta di casa, un grosso ceppo di legno solcato dal colpo di una scure ed adornato di nastri. Al mattino successivo, si conosceva l'esito di questa richiesta giacche la madre della ragazza se prendeva il ceppo e lo portava dentro, dimostrava di essere d'accordo. In tal caso il matrimonio era fatto e si diceva che la giovane era stata acceppata. Appare opportuno notare che il ceppo rappresentava il nucleo intorno al quale cresce la famiglia. Con un richiamo al passato, il Dorsa evidenziava come fosse presente in questo caso, il culto di Vesta.

Se si verificava un decesso, come in altri paesi della Calabria, si spegneva il focolare e le donne con i capelli spettinati, iniziavano il lamento funebre sedendo sulla soglia del focolare o sopra dei materassi gettati per terra. Gli uomini col cappello in testa e il mantello sulle spalle, coprivano il loro viso, non essendo dignitoso mostrare le lacrime. In molti paesi quando moriva qualcuno, si poneva il cadavere con i piedi verso la porta perché egli potesse andarsene senza ostacoli e perché la sua anima non restasse nella stanza. A tal fine, si lasciavano i piedi non legati. Ad Acri, gli si metteva accanto anche un bicchiere d'acqua ed un tozzo di pane, perché si pensava che il defunto quando la sera veniva lasciato da solo, dovesse cibarsene; anzi stavano bene attenti a chiudere la porta col timore che, se guardato, rifiutasse di mangiare. Il rituale si ripeteva per tre sere consecutive nella stanza dove era avvenuto il decesso. Se si aveva il sospetto che il cibo non era stato toccato, si rendeva necessario fare qualcosa di diverso perché poteva darsi che lo spirito del morto si aggirasse ancora per la casa.

Detto popolare: "Si Cristu nascìa acritanu, puru nascìa ccu lu vizzarru pilu" (Se Cristo fosse nato in Acri, sarebbe diventato astuto e bizzarro). Ancora in uso è il motto: "Acri Bisignanu e Luzzi hannu fattu na cumpagnia cu li cazzi".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CAPALBO R., Memorie storiche di Acri, S. Maria C.V., La Fiaccola, 1924;

DE SIMONE F.M. Saggio di canti popolari di Acri nella Calabria Citeriore, in "Riv. tradiz. popolari italiane", 1894, n. 3;

GALLO G., Una sosta nelle chiese di Acri, in "Brutium" 1967, n. 1;

JULIA G., Aspetti folkloristici e linquistici del dialetto rustico di Acri, Belluno, Tip. Piave, 1973;

JULIA A., Storie popolari calabresi in Acri, in "Arch. Stor. trad. pop." 1887, 241-247;

IDEM, Ninne nanne ad Acri, in "La Calabria", 1891, n. 3;

IDEM, Il carnevale ad Ari, in "La Calabria", 1895, n. 7; IDEM, il Natale ad Acri, in "La Calabria" 1895, n. 4;

IDEM, Usi e costumi di Acri, in "La Calabria", 1896, n. 10;

TOCCI G., Notizie storiche e documenti relativi ai comuni di S. Giorgio Albanese, Vaccarizzo, S. Cosmo, Macchia, S. Demetrio, in appendice alle due memorie sulle questioni di scioglimento di promisquità con Acri, 1898;

 
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