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SARACENA

E probabile che questo paese sia stato edificato sulle rovine dell’antica Sestio, città fondata da Enotrio Arcade verso il 256 a.C. che rimase operosa fino al 900, anno in cui venne invasa dai Saraceni. Costoro furono a loro volta scacciati dai Bizantini dopo una cruenta battaglia che causò la definitiva distruzione di Sestio. La leggenda vuole che la regina dei Musulmani riuscisse a sfuggire alla cattura e a rifugiarsi nel vecchio castello con le sue ancelle.

Quando il condottiero e le truppe imperiali di Bisanzio la scoprirono, ne rimasero affascinati ed urlarono: "Viva la saracena!". Da questa esclamazione, rimasta celebre, derivò il suo nome.

I ritrovamenti archeologici nella grotta Campanella consistenti in vestigia d’insediamento preistorico di tribù cavernicole, e la necropoli antica, con sepolcreto di età incerta, con tombe a cassone, scoperta nel 1884 in località Ciparsi, testimoniano la presenza dell’uomo da queste parti sin dalla preistoria. In pieno periodo normanno, seguì le stesse sorti di molti centri in cui il rito bizantino venne sostituito con quello della chiesa di Roma. Nel secolo XVI risulta infeudato al potente casato dei Sanseverino che, nel 1612 lo aliena in favore della famiglia Pescara la quale, nel 1617 vi ha incardinato il titolo di duca e lo mantiene fino al 1718. La successiva permuta con Bovalino, lo fa confluire nella baronia degli Spinelli, principi di Scalea fino all’anno delle leggi eversive.

Il castello edificato nel XIII secolo, appartenne ai baroni Acaja che vi dimorarono fino al sec. XIV, fu ristrutturato ed ampliato ne 600 e nel 700. Nonostante tutto, sono ancora evidenti alcuni elementi medievali e dei rifacimenti successivi oltre ai ruderi delle muraglie perimetrali e delle torri. Il palazzotto signorile edificatovi dagli Spinelli nel 700 venne addossato alle antiche pareti e arricchito con un interessante loggiato.

La chiesa di San Leone, consacrata nel 1224, seguendo canoni costruttivi bizantini, venne ritoccata nel 600 e nel 700. L’esterno è caratterizzato dal bel portale cinquecentesco posto nel prospetto principale, decorato con un rilievo schiacciato a motivo di candelabri, giralli e teste d’angelo, che corre sugli stipiti, sull’arco e sull’architrave superiore. Alla base degli stipiti, due stemmi, uno col blasone dei Sanseverino, l’altro illeggibile. Il portale laterale, ugualmente scolpito da scalpellini locali nella seconda metà del 500, è costruito in pietra calcarea, con colonnine binate tra le quali sono inserite delle formelle con fiori a rilievo schiacciato. Nella girata dell’arco, sono posti due angeli reggicorona e, in alto, sull’architrave, si snoda un motivo ornamentale a giralli. L’opera richiama il portale della chiesa di San Giuliano a Castrovillari, datato 1568. Il campanile è a pianta esagonale, isolato dalla chiesa, del tipo a torretta d’impostazione romanico-gotica, con trifore con arco a tutto sesto ornate di capitelli gotici nella celletta campanaria. L’interno, trinavato, è stato rifatto in stile barocco e contiene numerose opere d’arte. La base del fonte battesimale, del 1592, scolpita in pietra da scalpellini locali, è formata da un leone che, in posizione accovacciata, regge tra le zampe lo stemma della chiesa (mitra vescovile). Sulla schiena del felino si innesta la colonna istoriata da motivi di foglia di quercia, sulla quale poggia la vasca circolare lievemente baccellata (un simile esempio si riscontra nell’altra chiesa di Saracena sotto il titolo di Santa Maria del Gamio); il cappello ligneo è sormontato da figure a tutto rilievo del 600. Su un pannello, si stagliano a rilievo le figure dei Santi Giovanni Battista e Paolo; su un altro, santa martire e S. Innocenzo, seguono due evangelisti e, infine, S. Agnese con altro santo.

L’altare di San Leone, primo a sinistra, costruito in marmi colorati in una bottega di marmorari napoletani, datato 1765, fu acquistato dal sacerdote Nodarini il quale alla sua morte (1769) lasciò a questa cappella tutti i suoi beni; al di sopra, statua lignea di San Leone Taumaturgo, scolpita a tutto tondo e a figura intera, dipinta e dorata, opera di bottega provinciale del sec. XVII. Anche l’altare del Carmine presenta le stesse caratteristiche. L’altare della Madonna del Rosario, opera di intagliatori locali del 600, fu istituito dal duca di Saracena nel 1631 col titolo di San Giovanni Battista con una statua dello stesso santo; oggi vi è posta una statua lignea raffigurante la Madonna del Rosario modellata da scultore della scuola napoletana del 600; accanto, due santi domenicani (manichini), provenienti dal soppresso convento dei Padri Predicatori. Sull’altare della famiglia Forestieri, statua in cartapesta di Sant’Antonio, acquistata nel 1853 in sostituzione di una statua dello stesso santo restituita ai PP. Cappuccini che ne erano proprietari. Sull’altare marmoreo del Sacro Cuore acquistato dall’arciprete Mazziotti verso il 1860, è visibile uno sportello argenteo del ciborio di ottima fattura proveniente da bottega orafa napoletana del 700.

Qua e là sono poste le seguenti statue in cartapesta: busto dell’Ecce Homo della prima metà dell800; San Rocco, del sec. XIX; San Francesco di Paola, del sec. XIX (posto in una nicchia); S. Lucia (sec. XVIII). Numerosi i busti reliquiario dedicati rispettivamente a San Gennaro, S. Stefano, S. Leone, S. Bartolomeo, S. Giovanni Battista, S. Barnaba, S. Biagio, S. Andrea, S. Paolo, S. Pietro. In due nicchie sono poste due statue in legno attribuibili allo stesso scultore di scuola provinciale del 700, raffiguranti S. Stefano e S. Francesco Saverio. In altre due nicchie, statue in legno scolpite e dipinte, del 600-700: una raffigurante l’Angelo custode simile alla statua di S. Bernardino nell’omonima chiesa di Morano Calabro, l’altra raffigurante San Michele Arcangelo del 600-700 su uno schema visibile anche ad Altomonte (Santa Maria della Consolazione) e a Saracena (Santa Maria del Gamio).

I dipinti degni di nota sono: Sant’Anna e la Vergine, opera di Giocondo Bissanti da Manfredonia del sec. XIX; serie di 13 quadri (in origine dovevano essere 15) dei Misteri. Nel coro, stalli del 1885 di bottega locale, in sostituzione di quelli cinquecenteschi distrutti dai tarli; agli stessi artieri sono dovuti gli armadi della sagrestia. Nella prima cappella destra, in una cornice lignea intagliata e dorata del sec. XVIII, olio su tela della Madonna del Buonconsiglio di ignoto del sec. XVI, il cui culto fu importato in Calabria dagli Albanesi. Inoltre: olio su tela raffigurante la Discesa dalla Croce, di ignoto pittore del 500 di stampo negroniano, nel quale è visibile la Maddalena e Maria Vergine inginocchiate e, in piedi, San Giovanni evangelista; dipinto di ignoto pittore napoletano del 700 raffigurante la Madonna del Purgatorio; un olio su tela di ignoto pittore locale settecentesco, raffigurante S. Antonio Perfetto di Saracena, il frate nacque a Saracena il 1688 e morì verso la metà del Settecento.

Sull’altare maggiore costruito in marmi policromi nel sec. XVIII da artieri napoletani, statua marmorea seicentesca, raffigurante l’Immacolata; l’opera fu acquistata a Napoli da d. Isabella Feoli con l’eredità del defunto marito Pierantonio Longo, il 2 maggio 1600 per duc. 125; il suo autore proviene da bottega statuaria tendente ai modi di Pietro Bernini. Anche la statua della Madonna degli Angeli, mostra le stesse caratteristiche e fa parte della stessa bottega, oggi è posta sull’ex altare di Sant’Anna, datato 1634, costruito in legno.

V’è da dire che la committente aveva destinato quest’ultima statua al convento dei Cappuccini; dopo la soppressione del 1811, fu trasferita nella chiesa di San Leone per fare ritorno dai frati nel 1854. Nel 1962, considerate le precarie condizioni dell’edificio, si era deciso di portarla nella chiesa di Cosenza; a questa iniziativa si opposero sia il vescovo che gli abitanti di Saracena che la fecero sistemare nel posto ove oggi si trova. Sulla volta, due affreschi del Chiarelli, pittore di Morano Calabro, conosciuto anche per una serie di mediocri quadri conservati nella sagrestia della chiesa del Carmine del suo paese; il primo raffigura l’Incoronazione della Vergine e si ispira all’affresco della chiesa di San Giuliano; l’altro raffigura Giuditta che mostra la testa ad Oloferne.

Da segnalare: sedia presbiteriale datata 1808 assegnabile alla bottega dei Fusco di Morano Calabro ove sono stati anche prodotti due confessionali; statua di Cristo in legno dipinto al naturale, probabile opera del sec. XVII di scultore locale; organo in legno intagliato e dipinto che, in un lato, reca la data di costruzione (1726) e lo stemma della chiesa. Vi si conservano numerose pianete, piviali, calici argentei. Tra le opere di spicco in argento, sono notevoli: 3 calici del 700, un ostensorio in argento e rame del 700, un calice con l’effigie di San Leone opera di argentieri napoletani del 700, acquistato nel 1764. Inoltre, bel tabernacolo per l’olio santo di ignoto scultore toscano operante a Napoli, datato MDXXII, e paragonabile ad un simile oggetto custodito a S. Maria del Colle a Mormanno e a un ciborio nella chiesa della Maddalena di Morano.

La chiesa di S. Maria delle Armi è un edificio di fondazione medievale, in origine oratorio bizantino della Theotrkos ton Armon (sec. XI), in seguito parrocchiale. All’interno, dipinto raffigurante San Vincenzo Ferreri eseguito da Vincenzo Faggiano di Napoli nel 1869; statua in cartapesta raffigurante l’Assunta, modellata nel 1864 e posta su un altare in stucco con ricco fastigio, costruito nel 1750 da Donato Sannicola di Aiello; dipinto della Madonna col Bambino e i SS. Anna, Gioacchino e Giovannino, opera di ignoto pittore del 600, ritoccata dal pittore Giocondo Bissanti nel 1892. Notevole un affresco raffigurante la Madonna col Bambino (Madonna delle Armi) databile al XV-XVI secolo; è probabile che questa sia la copia di una icona della Vergine venerata nell’abbazia benedettina di Bonzi, in Basilicata, della quale questa chiesa di Saracena era suffraganea.

Tra le altre opere d’arte, confessionale in legno del 600-700 scolpito ed intarsiato; pulpito in legno del 600; frammento di scultura in pietra tufacea raffigurante un gentiluomo in preghiera, l’opera di ignoto del 500 faceva parte di un monumento più articolato; acquasantiera in pietra del 500; balaustra dell’altare maggiore sei-settecentesca, in pietra, con figure umane scolpite ad altorilievo e dipinte.

La chiesa di Santa Maria del Gamio è una costruzione di origine bizantina, rimaneggiata nel corso del Sei-Settecento. L’interno, a tre navate, è decorato a stucchi. Il soffitto della navata centrale, è a lacunari e rosoni, costruito da Vincenzo de Untiis tra il 1619 e il 1629 con decorazioni pittoriche settecentesche di Genesio Gualtieri che vi lavorò per il compenso di 40 ducati. Appartenente a questa chiesa (anche se potrebbe trovarsi presso la Soprintendenza della città capoluogo) è un bel polittico rinascimentale dipinto ad olio su tavola, in fastigio ligneo architettonico intagliato e dorato.

La cinquecentesca composizione i scompartita nel seguente modo: in alto due tavolette con l’Angelo annunciante e l’Annunciata, in mezzo raffigurazioni di San Leone (oppure Sant’Agostino) e San Francesco di Paola; nella predella, l’Adorazione dei Magi e la Danza di Salomè. La cornice è finemente lavorata; l’architrave è sorretta da due colonne al di sotto delle quali sono posti gli stemmi dei Sanseverino e della città di Saracena, e ciò sta a dimostrare che l’opera fu commissionata proprio dai feudatari locali.

In quanto ad una possibile collocazione artistica v’è da evidenziare che le figure degli angeli richiamano pittori quali il Sabatini e il Criscuolo seguaci del raffaellismo meridionale. Ciò che rimane della predella ricorda il Polidoro che nel 1524 dipingeva a Napoli le logge e il cortile del palazzo Montalto. L’altare maggiore in marmi policromi, è opera di Nicola Majno da Padula e contiene un pregevole sportello argenteo eseguito dall’artiere Salvatore Vecchio nel 1776; gli altri altari laterali minori, sono in marmo del 700; l’altare del Rosario in legno scolpito e dipinto da artieri locali del sec. XVIII, proviene dal soppresso convento dei Domenicani.

Dello stesso stile ed epoca sono anche gli altari di San Leonardo e dell’Angelo custode; su quest’ultimo i custodita una statua del titolare, opera di Eugenio Cerchiaro del 1712 che ne costruì una simile a San Giuliano a Castrovillari; sul primo, invece, è collocata una tela raffigurante San Leonardo dipinta da Giocondo Bissanti nel sec. XIX. L’altare di Santa Caterina con ricco fastigio, i opera del mastro stuccatore Donato Sannicola attivo a Saracena e a Morano verso la metà del 700.

Tra le opere in legno, sono in evidenza: organo del 700 (la struttura è del 1650); statua di San Donato, scolpita dipinta e dorata; pancone della sagrestia di bottega locale del 600; crocifisso cinquecentesco scolpito e dipinto (posto nel succorpo della chiesa) molto venerato dal popolo di Saracena; Crocifissione, opera di fine 800 posta in una bacheca; statua di S. Antonio opera di statuari locali del 600-700; Crocifisso del sec. XIX proveniente dalla chiesa dei Cappuccini; statua raffigurante San Vito (vestito azzurro, a tunica chiusa da cinta verde parzialmente coperto da mantello rosso, al petto la palma del martirio, ai piedi un cagnolino); statua di Sant’Innocenzo acquistata a Napoli nel 1831, posta su un altare marmoreo del 700.

La chiesa è dotata di sette busti reliquiari in legno scolpiti a tutto tondo e interamente dorati nel sec. XVII: santo papa e martire, S.M. Maddalena, S. Innocenzo, santa martire, S. Biagio (probabile opera di Giobatta Mandese), S. Caterina, S. Donato. Tra i dipinti, sono da annoverare: Sant’Antonio e santo vescovo in adorazione dell’icona della Vergine, di ignoto pittore del 600; San Gaetano di Giocondo Bissanti che ebbe l’incarico di rifare molti quadri della chiesa da parte del parroco del tempo Leonardo Mastromarchi; Madonna del Carmine, dello stesso Bissanti; Madonna di Costantinopoli di ignoto del 500; Madonna della Purità, olio su lamiera del sec. XIX, opera di ignoto pittore che dovette ispirarsi all’omonimo soggetto che trovasi nella Cattedrale di Rossano e che, però, è del 500; SS. Trinità opera seicentesca rifatta nel sec. XIX; Nozze mistiche di Santa Caterina, olio su tela di P. de Majo del 1756. Sui soffitti delle navate, alcune opere a tempera: il Serpente di bronzo, Mosè salvato dalle acque, Abramo e Melchisedec, Rachele al pozzo; sono state dipinte nel 1802 da Nicola di Celinei, e non tutte appaiono in buone condizioni.

Molto importanti, specialmente al fine di definire le zone di influenza di Gaetano Fusco da Morano, sono alcune opere in legno provenienti dalla sua bottega: sedia presbiteriale del 1763, coro del 1760-61, pulpito del 1751, confessionale. Da notare ancora, le raffigurazioni dei SS. Paolo, Leonardo, Pietro e Andrea, contenute in una pietra scolpita ed imbiancata con lo stemma della famiglia Scornavacca. Il pezzo migliore della chiesa è senz’altro la statua marmorea di Santa Maria della Natività, modellata a tutto tondo e a figura intera nel 1772 da statuario napoletano seguace della maniera del Bernini. Nella chiesa sono custodite delle opere in argento di grande valore, quali corone, turiboli, croci processionali, calici, secchiello con aspersorio ecc., prodotte tra il XVII e il XIX secolo.

La chiesa dei Cappuccini, ex conventuale, venne eretta insieme col convento, il 23 giugno 1588, e dedicata a San Francesco d’Assisi; subì la soppressione del 10 novembre 1811 e per 43 anni, fino al 1854, anno in cui i monaci vi fecero ritorno, rimase di pertinenza comunale. La definitiva soppressione avvenne nel 1866. La chiesa, inizialmente, era scarna e disadorna e, grazie ad un prodigio, riuscì ad ottenere un magnifico ciborio, elemento tipico delle chiese dell’ordine. Si dice che nel 1591, una tal Giulia Monica, non riuscisse ad avere figli nonostante fosse stata sposata per due volte; un padre del convento, un giorno, le disse che se avesse provveduto a far venire da Napoli una custodia per il SS. Sacramento avrebbe avuto ciò che desiderava. Su interessamento della signora, dalla città partenopea arrivò un magnifico ciborio ed ella ebbe non uno, ma quattro figli.

Vestito tradizionale: "Camicia con ricci e merletti, cammisotto rosso pieghettato; maniche nere staccate con sparato laterale; jettariello in capo e faudile. Sul cammisotto il curietto con galloni all’orlo e in tutte le costure. La zitella ha il panno; la maritata il jettariellu e su questo, se vuole, il panno".

Nel secolo scorso, i maestri, in cambio del loro insegnamento, obbligavano gli alunni a fare la spesa, irrigare l’orto, pulire la casa e, perfino, piantonare i loro debitori.

Tratto da L.Bilotto - Itinerari della provincia di CS

 

FORESTIERI V., Monografia storica del comune di Saracena, Roma, Tip. Salvadori, 1913;

LEONE G., Saracena: presenze islamiche e architettura popolare, in "Storia della città", IX (1984), 31-32, PP. 87-104;

TROMBETTI G., Le chiese di Santa Maria del Gamio e delle Armi a Saracena, Castrovillari, 1993.

 
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