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ROSSANO

Resti di epoca protostorica testimoniano le sue origini antichissime. Le sepolture dei timponi riportano, invece, al IV sec. a.C. ai tempi della colonia di Thurii; comunque h sicuro che diviene colonia romana, com’è testimoniato dai ritrovamenti in contrada Sant’Antonio. Nell’Itinerario Antonino è citata col nome di Ruscianum. Verso il IV secolo vi si diffonde il cristianesimo se h vero che San Zosimo di Rossano viene eletto papa intorno al 417- 418. Nel 548 h occupata da Totila; in seguito passa sotto il dominio dei Bizantini che la considerano un importante punto di riferimento che arriva a contare quasi 20.000 abitanti.

In effetti in questo paese confluiscono profughi dal Medio Oriente e specialmente dalla Sicilia invasa dagli Arabi. Vi si registra anche la presenza di una comunità ebraica che si insedia a ridosso delle mura cittadine in un posto ancor oggi noto come Giudecca. Ma è grazie all’immigrazione di monaci ed eremiti greci che si stabiliscono nelle cosiddette laure che vi si diffonde la cultura e la liturgia greca. L’influenza di costoro farà nascere un monachesimo calabro-greco che sarà meglio noto come basiliano. Vi ha i natali anche Benedetto Sanidega che è eletto papa col nome di Giovanni VII (705-707).

Intorno al X secolo, Rossano è al culmine del suo splendore: è sede del vescovado e del governatore bizantino (stratego) ed è sicuramente il polo culturale più importante della Calabria. Nel 910 vi nasce San Nilo che fonda poi la Badia di Grottaferrata; nello stesso periodo, vi opera Giovanni Filogato che diviene l’antipapa Giovanni XVI (997-998). Ebbe un ruolo importante nella rivolta di Antonio Centelles e divenne uno dei primi principati del meridione. Appartenne ai Marzano (1445-1464), agli Sforza (1487-1499), alla famiglia reale d’Aragona (1499-1524), ancora agli Sforza (1524-1559), agli Aldobrandini, quindi ai Borghese fino al 1806.

La Cattedrale, la cui costruzione pare sia stata propiziata da Roberto il Saggio, venne completata dal 1348 al 1365 per volere dell’arcivescovo Gregorio. E' ancora possibile intravedere nella struttura il rifacimento trecentesco su un’antica costruzione bizantina di cui oggi rimane l’affresco della Vergine Achiropita. Come riporta la Di Dario, è ancora leggibile l’impianto basilicale a tre navate terminanti in tre absidi secondo un modulo legato alla tradizione normanna della regione, mentre alcuni particolari architettonici, come i tre portali ogivali - di cui però uno sensibilmente più tardo - e soprattutto le tre absidi, rivelano forti agganci con l’architettura angioina di Napoli sia all’esterno per il susseguirsi dei soli contrafforti senza archi rampanti, sia all’interno negli eleganti semiombrelli a costoloni.

Dopo vari interventi, la facciata venne completata solo agli inizi di questo secolo; oggi si vede un portale rinascimentale sopra il quale è posta una statua dell’Assunta. L’interno, restaurato nel 1914, in stile barocco, è diviso da pilastri in tre navate; una quarta a cappelle venne aggiunta sul lato sinistro nel corso del XVIII secolo. Il soffitto è a cassettoni di legno dipinto; quello cinquecentesco della navata centrale fu commissionato dal potente Lucio Sanseverino dei Principi di Bisignano; quelli delle navate laterali, dall’arcivescovo A. Adeodato verso la fine del 600. Lungo le pareti delle navate laterali e nel transetto, sono affrescate delle piante con funzioni allegoriche. In alto, affreschi raffiguranti gli Apostoli. Sulla navata destra sono posti degli altari marmorei con stemma del vescovo Mazzella; sul primo, tela dedicata a Santa Lucia di anonimo ottocentesco; segue dipinto delle medesime caratteristiche con la Maddalena; più avanti, altro olio su tela del 1694 rozzamente ritoccato, raffigurante la Madonna del Carmine con San Michele Arcangelo e altro santo (Sant’Ignazio?); sulla porta della sagrestia, lapide commemorativa del vescovo Spinelli; in fondo alla navata, cappella di San Giuseppe con balaustra e altare in marmi policromi e statua lignea del titolare.

In sagrestia, ritratti di alti prelati e tela su cui è effigiata la Crocifissione. Nell’abside, coro ligneo a due file di posti con postergali; al centro cattedra vescovile, anche in legno. In alto, affreschi dei SS. Nilo e Bartolomeo da Simeri; accanto, Assunzione e Incoronazione della Vergine. La serie degli affreschi che coronano la parte bassa della parete absidale, eseguiti come gli altri da Pasquale Capobianco alla fine del secolo scorso, ripercorrono la storia, o meglio, la leggenda della nascita della Cattedrale.

Un eremita di nome Efrem, mentre era raccolto in meditazione e preghiera in una delle numerose laure eremitiche attorno a Rossano, incontrò un profugo di Costantinopoli; si trattava di un uomo di sangue reale, al quale era stato usurpato il trono della bella città sul Bosforo; anzi era stato addirittura vittima dell’ostracismo dell’imperatore e dei suoi concittadini. Ma Efrem lo tranquillizzava predicendogli che le cose in patria stavano cambiando. Allora l’infelice esule promise che, se tornando a Costantinopoli avesse realmente trovato una situazione a lui favorevole, egli sarebbe tornato ad edificare proprio in quella grotta, una chiesa da dedicare alla Madonna; anzi, per mantenere fede a quanto detto, lasciò in pegno un prezioso anello. Quando Maurizio tornò in patria, poti constatare che le parole dell’eremita calabrese erano state profetiche, ma le incombenze sempre più pressanti della sua corte gli fecero dimenticare le promesse fatte. Dopo qualche tempo, Efrem ritenne di dovere affrontare un lungo viaggio per andare a riferire al suo vecchio conoscente che la parola data doveva essere mantenuta; fu così che si recò a Costantinopoli e restituì l’anello a Maurizio con lo scopo di rendere ancor più umiliante e mortificante il suo gesto. L’imperatore, rammentando quei tristi giorni, fece un atto riparatore veramente sensazionale: allestì una flotta carica di materiali da costruzione ed ogni sorta di artisti, artigiani e maestranze per edificare una chiesa nella grotta ove aveva trovato Efrem.

Ad opera compiuta si verificava un fatto strano: mentre veniva dipinta una Madonna su una parete della chiesa, l’indomani, il dipinto spariva e lasciava il posto ad una immagine della stessa Vergine, completamente diversa da quella precedente. L’ultimo affresco della serie, raffigura, infatti, un bambino rinchiuso di notte nella cattedrale col compito di sorvegliare l’opera del pittore e di riferire su qualche movimento fuori dall’ordinario. Al giovane, invece, apparve la Madonna, segno che era lei stessa a dipingere la sua immagine. Ecco che al terzo pilastro sinistro della navata maggiore, è posto un affresco, restaurato nel 1929, raffigurante la Madonna Achiropita (non dipinta da mano umana). L’opera è corredata da un altare di marmo in stile barocco, con paliotto e tabernacolo con fregi ed angeli, composto tra il 600 ed il 700. La navata sinistra è, a sua volta, divisa in due ambienti separati da pilastri ed arcate. Dopo il sepolcro monumentale del vescovo Teodato, è collocata la tela ottocentesca raffigurante San Nilo; segue gruppo scultoreo col Crocifisso e l’Addolorata del 700; accanto, Sant’Antonio da Padova del sec. XIX. Più avanti si apre la cappella con altare marmoreo; al di sopra, su un’apposita tela, è effigiata Santa Liberata; ai lati, Presentazione al Tempio e Fuga in Egitto, opere di ignoti pittori ottocenteschi.

La tradizione vuole che questo locale sia stato edificato sul sito della vecchia grotta citata nella leggenda di Efrem; infatti, la primitiva chiesa era posta in senso longitudinale all’attuale: la porta principale era quella che oggi è l’ingresso laterale destro e la zona absidale era posta sul sito di questa cappella. Più avanti, altro altare al di sopra del quale è collocata una tela della Vergine rozzamente dipinta e ritoccata; al di sotto, una striscia di tela, sulla quale sono raffigurate le anime purganti, facente parte, con buona probabilità, di un’opera più completa. Segue altare sovrastato da dipinto dell’Assunta con i SS. Nilo e Bartolomeo da Simeri. In fondo alla navata, cappella del Sacro Cuore con statua del titolare e sei tele di anonimi e mediocri pittori locali del sec. XIX raffiguranti alcuni dei 15 Misteri. Tra le altre cose notevoli, v’è da segnalare un organo di legno a canne del 1622 posto sulla cantoria e un pergamo marmoreo del 1752 con stemma dell’arciv. Policastri.

Accanto alla cattedrale, nel palazzo arcivescovile, è posto il Museo Diocesano, inaugurato nel 1952. Appena entrati nei due piccoli locali (pare che il Museo avrà in un prossimo futuro una sistemazione più idonea), sulla sinistra lo sguardo si posa su un originale stipo di legno a forma di tempietto del 1916; i formato da una fastosa cimasa e battenti decorati a fitti bassorilievi dorati; sul coronamento, busti lignei di San Maurizio e San Lazzaro. I battenti sono rivestiti all’interno da due vecchie tele del 600 raffiguranti episodi della vita di San Nilo e di San Bartolomeo Abate. Di fronte, statua barocca in argento massiccio, con le corone in oro, del 1768 raffigurante la Madonna col Bambino, opera di argentiere meridionale; accanto, statue lignee del sec. XVIII: San Nilo, San Francesco di Paola (mezzo busto), l’Assunta (a figura intera). Nello stesso locale grande tela con San Brunone del 1842; al di sotto, numerose pergamene, bolle, corali miniati. Sulle pareti: un dipinto su cui, da ignoto pittore del 700, fu effigiato San Gerolamo; un ritratto di Urbano VII del 700 e, della stessa epoca, una Ascensione.

Nel locale attiguo, conservate in due enormi teche, numerosissime opere in argento (reliquiari, calici, turiboli, secchielli ecc.). Inoltre: Madonna della Pace con Santa Caterina e San Giuseppe, tavola di epoca rinascimentale dipinta a miniatura e racchiusa in una ricca cornice di ebano intarsiata e decorata con motivi floreali, con ornamenti in metallo e pietre preziose colorate; croce in ebano di fattura seicentesca; la Pietà, tavola su fondo oro con la Vergine ed il Cristo morto sulle ginocchia, in alto due angeli e, in basso, due stemmi dipinti posteriormente al sec. XV epoca in cui fu realizzata l’opera; sul retro la seguente scritta: "nel mese di luglio 1545, vi fu miracolo di questa devotissima Madonna, essendo qui in Rossano.... la tolsero per mandarla in Napoli. La sopraddetta come fu nella porta... non potette passare e ritornò".

Recentemente il museo s’è arricchito di nuove opere: tavola dell’Ecce Homo proveniente dal Patirion; ciborio del 1648 proveniente dalla chiesa di San Pietro di Corigliano, dono dei Saluzzo; specchietto bronzeo del V sec. a.C. rinvenuto in località Santo Stefano, di proprietà comunale e momentaneamente custodito in questi locali. Degna di nota è un’icona cinquecentesca della Nuova Odigitria proveniente dal Pathirion, dipinta a due facce: sulla prima è raffigurata la Madonna col Bambino, sull’altra, la Crocifissione con la Madonna e San Giovanni. Vi sono inoltre, due reliquiari settecenteschi in legno e argento raffiguranti i Santi Nilo e Bartolomeo Abate. In una teca sono custoditi: un anello che si dice fosse appartenuto a San Nilo proveniente dal Pathirion, in bronzo e pasta di vetro azzurrognola con figura dell’Odigitria, opera di orafi veneziani del 200; la Sfera Greca, ostensorio in argento dorato e smalti a pianta esagonale; un turibolo, opera di argentiere napoletano del 1714. Tra i suoi oggetti preziosi, emerge il celeberrimo Codex Purpureus, uno splendido evangelario greco trascritto e dorato con miniature in una pergamena color viola-rossiccio, intorno al VI secolo in uno scriptorium di Cesarea in Palestina e portato in Calabria, molto probabilmente, da profughi melchiti nel secolo successivo.

Conservato prima nel Pathirion e poi nella cattedrale, già segnalato nel 1846, venne portato all’attenzione della cultura mondiale nel 1879 per merito di due studiosi tedeschi (Von Geghardt e Von Harnak) che, per primi, compresero la sua enorme importanza storico-artistica. Si dice che, in un primo tempo, il Von Harnak, volesse acquistarlo offrendo una forte somma e che l’arcivescovo del tempo, insospettito da questo fatto, avesse rifiutato l’offerta. Solo in un secondo momento, lo studioso avrebbe poi rivelato il pregio dell’opera.

Questo è quello che si dice in giro a Rossano. A tal proposito, però, è necessario fare alcune considerazioni: il codice fino al sec. XIX era ritenuto nient’altro che una sorta di vangelo a fumetti e non è escluso che venisse adoperato addirittura per avvicinare i giovani al catechismo; trattato alla stessa stregua di un libro parrocchiale, non sarebbe stato affatto difficile acquistarlo e portarlo via; resta comunque il fatto che dell’importanza dell’opera sera già parlato 33 anni prima.

E passiamo alle sue caratteristiche: si tratta di un tetravangelo giunto mutilo in 188 fogli (in origine dovevano essere circa 400) di cm. 30,7 per 20. Gli scritti si sviluppano su due colonne di 20 righe ciascuna di cui le prime tre con lettere doro greche onciali, le successive 17 in argento, senza accenti, né spiriti, né separazioni. In 12 pagine, nel registro superiore, sono miniate scene della vita di Cristo: Miracolo della Resurrezione di Lazzaro, Ingresso di Cristo in Gerusalemme, Cacciata dei mercanti dal tempio, Parabola delle vergini savie e di quelle stolte, Cenacolo e Lavanda dei piedi, Comunione col vino, Comunione col pane, Gesù nell’orto, Miracolo del cieco, il Buon samaritano, Cristo innanzi a Ponzio Pilato, Pentimento ed impiccagione di Giuda, Processo e condanna di Cristo, Liberazione di Barabba e Flagellazione. Nel registro inferiore, i profeti con cartigli che contengono brevi descrizioni del relativo episodio posto in alto. Le altre miniature raffigurano i 4 evangelisti racchiusi in un cerchio policromo, la cornice dell’epistola di Eusebio, San Marco evangelista mentre scrive parole dettate da una donna. L’opera, nel suo insieme, doveva essere composta dai 4 testi dei vangeli, dalla lettera di Eusebio da Cesarea a Carpiano e dalle dieci tavole dei canoni.

Purtroppo è giunta sino a noi solo una parte dell’originale e più precisamente: la prima parte della lettera di Eusebio, l’indice dei capitoli di San Matteo e dei capitoli di San Marco, il Vangelo di San Matteo e parte di quello di San Marco.

Inoltrandosi per i vicoli che dalle spalle della cattedrale portano a valle, si giunge alla chiesetta della Panaghia (tutta santa) dedicata alla Madonna. Presenta i caratteristici elementi dell’architettura bizantina della seconda età aurea (decorazione in cotto sia all’esterno che sugli archi delle finestre). L’interno è a navata unica; l’abside semicircolare, è volta ad oriente secondo l’antica usanza di consentire ai fedeli di pregare di fronte al sole che sorge, simbolo di Cristo che risorge e salva. A destra della parte inferiore dell’abside, si conservano i resti di un affresco che ritrae San Giovanni Crisostomo raffigurato con la barba corta in una grande aureola dorata circondata da una corona di perle. Lo sguardo rivolto verso chi guarda sembra che inviti a leggere il testo scritto in un cartiglio che regge nelle mani, nel quale sono visibili scritte in greco tratte dalla liturgia a lui dedicata: "Nessuno di coloro che sono ancora schiavi dei desideri e delle voglie della carne, è degno di accostarsi a te".

Considerando che nel 1363 nella diocesi di Rossano viene introdotto il rito latino, tali affreschi non possono che essere anteriori a tale data. Sul corrispondente lato sinistro, di un medesimo affresco è rimasta solo una traccia che lascia scorgere la testa di un santo, certamente San Basilio. Non è da escludere che la parete di fondo fosse ricoperta da un altro affresco raffigurante il Cristo Pantocratore alla maniera della Martorana di Palermo o delle cattedrali di Cefalù e di Monreale. Momentaneamente vi si custodisce un dipinto ottocentesco di scarso pregio raffigurante la Madonna con i SS. Giuseppe, Anna, Rocco, Elisabetta.

La chiesa di San Marco completa la serie degli edifici bizantini di gran pregio esistenti in questa splendida cittadina. Le cinque cupolette, la pianta quadrangolare, le tre absidi, riportano la mente alla Cattolica di Stilo, considerata sua gemella. Costruita a cavallo tra il X e l’XI secolo, forse da un tal Eufrasio, protospatario greco della Calabria, sul sito del distrutto monastero femminile di S. Anastasia , e restaurata nel 1931, fu punto di riferimento delle laure eremitiche disseminate nei dintorni. La chiesa, come si vede oggi, è frutto di un successivo ampliamento effettuato con buona probabilità per accogliere un maggior numero di fedeli; dall’esterno, l’uniformità dell’intonaco, impedisce di distinguere l’aggiunta posticcia attraverso la quale si accede alla chiesa antica. La primitiva struttura, di forma quadrata, all’esterno, è caratterizzata da tre belle absidi semicircolari che sembrano nascere dalla roccia e che conferiscono alla chiesa un aspetto slanciato e maestoso. Le absidiole sono illuminate da bifore e la copertura è composta da 5 cupole coronate con un giro di tegole. L’interno è suddiviso da quattro pilastri che, a differenza della Cattolica, risultano troppo ingombranti per un’area così ristretta e che scompongono lo spazio in 9 quadrati: quello centrale e i 4 angolari sono coperti dalle cupole; gli altri formano i bracci della croce e sono coperti con volte a botte. Sulla destra, sono visibili resti di un affresco bizantino raffigurante la Madonna col Bambino, il che induce a pensare che, un tempo, l’intera chiesa fosse affrescata. Inoltre, pila litica per l’acqua santa, del sec. XII; capitello bizantino normanno del sec. XII e campana del 1562. Sono scomparse le colonnine che reggevano la lastra litica d’altare.

In seguito ai lavori di restauro effettuati nel 1978, sono venute alla luce due grosse fosse al di sotto del pavimento; quella vicino all’ingresso, non era altro che una fossa comune nella quale venivano gettati i cadaveri e bruciati con la calce; l’altra era un passaggio segreto per scappare in caso di invasioni barbaresche. La chiesa era al centro di un percorso sotterraneo: il primo partiva dalla zona vicina alla cattedrale chiamata Acqua Modda (acqua molle) e giungeva sino a San Marco, la seconda consentiva la comunicazione tra la chiesa e il torrente Celadi da dove ci si metteva in salvo. Momentaneamente nella chiesa sono conservate: una piccola tela ottocentesca raffigurante la Madonna delle Grazie e una statua lignea di San Marco della stessa epoca.

La chiesa e il convento dei Cappuccini vennero fondati nel 1534. Successivamente i monaci si spostarono in una nuova sede, ma il popolo, abituato a venerare la sacra immagine della Madonna delle Grazie, non accolse di buon grado tale decisione, e, sorretto dalle autorità del clero secolare, fece pressione per far ritornare i religiosi e la vecchia immagine alla primitiva sede. Tutto vanamente; si giunse persino al cospetto di papa Alessandro VII il quale, il 23 agosto del 1659, sentenziò che l’immagine miracolosa doveva rimanere nella nuova chiesa dei Cappuccini non nella vecchia. Il convento fu soppresso dalle leggi napoleoniche; riaperto nel 1817, ebbe definitiva chiusura il 10 marzo 1864. Poco dopo fu adibito ad ospedale. Il rapporto molto intenso e positivo che i Cappuccini avevano con la comunità locale fece si che essi tornassero nel 1953 presso la parrocchia della chiesa di San Domenico che aveva ospitato i Padri Predicatori e che era stata soppressa dalle medesime leggi del decennio francese; la concessione fu rinnovata nel 1963 e definitivamente sancita con rescritto pontificio del 21 agosto 1964.

L'ex chiesa conventuale funziona oggi come cappella dell’ospedale, custodisce ancora il quadro miracoloso della Madonna delle Grazie e una statuetta marmorea terzina modellata a tutto tondo opera di scultore meridionale del 500, oltre che delle opere lignee d’arte monastica del 700.

Nella chiesa di San Domenico di cui s’è fatto cenno, è contenuta una pala d’altare lignea con ricca custodia e fastigio ligneo barocco. Al centro è posto un crocifisso scolpito in legno e dipinto al naturale, frutto di bottega lignea provinciale del 700. Nutrita la serie di dipinti: Discesa dello Spirito Santo (700), Addolorata con i SS. Pietro Martire e Carlo Borromeo (800), San Vincenzo Ferreri (700), Ecce Homo (700 nell’altare del Crocifisso), San Domenico (700), il Cenacolo (700), San Tommaso d’Aquino e San Giacinto (sec. XIX), Apparizione della Madonna del Rosario a Santa Rosa a Santa Caterina da Siena e ad altre sante domenicane (sec. XIX), i Misteri (1727). Inoltre Altare ligneo dorato del 1737, organo e pulpito ligneo del 700.

Nella cappella del Rosario con altare ligneo barocco del 1727, statua della Madonna del Rosario di ignoto dell'800. La chiesa di San Bernardino venne eretta dai padri Minori di San Francesco d’Assisi il 1328, assieme all’attiguo convento. Venne ritoccata nel 1460-62. Ulteriori lavori di ristrutturazione furono effettuati nel corso del sec. XVIII e, più recentemente, nel 1964-65. L’esterno è alquanto gradevole, costituito da una facciata con portico e, a lato, piccolo campanile a vela. Il portale in tufo, ad arco acuto, è del sec. XV. L’interno è a una navata principale ed una navata laterale sinistra sulla quale si aprono cappelle decorate barocche con qualche elemento residuo della primitiva struttura (volte ogivali costolonate del sec. XV). Sull’altare maggiore, pregevole crocifisso ligneo, di dimensioni notevoli, scolpito nel sec. XVII alla maniera di frate Umile da Pietralia, da monaco intagliatore di buon livello. In questa chiesa venne sepolto il patrizio napoletano Oliverio de Somma del quale rimane il monumento sepolcrale in marmo, con arca decorata di stemmi del casato scolpiti a bassorilievo intorno al 1536 e con statua del defunto; di fronte altra tomba marmorea dei Malena costruita nel 1727. Inoltre dipinto di ignoto dell'800 raffigurante il Battesimo di Gesù e tela ottocentesca su cui è effigiata l’Immacolata. Interessanti le opere in legno: inginocchiatoio, stipo della sagrestia, pergamo ed armadi, frutto di arte monastica del Seicento.

La chiesetta della Madonna del Pilerio, è un oratorio di origine bizantina, mononavato con abside semicircolare. All’interno è affrescata la titolare della chiesa sul tipo della madonna Eleousa, da ignoto artista del sec. XVIII. Ancora visibili resti architettonici dell’età bizantino-normanna. Nel monastero delle Clarisse è custodito un dipinto di Saverio dell’Abbadessa del 1883 raffigurante la Madonna degli Angeli tra i SS. Francesco e Chiara d’Assisi. Inoltre, due statue dedicate alla santa titolare: una di anonimo scultore napoletano del 700, l’altra di scuola locale del 700 -800.

Notevoli i ritrovamenti archeologici. Nel 1934, N. Catanuto, in località Sant’Antonio, scoprì una necropoli della prima età del Ferro con suppellettili sepolcrali in metallo e in pietra. Sul colle Santo Stefano, necropoli più recente, di età ellenistica del V secolo a.C.. Nella zona di Piragineto, è venuta alla luce una necropoli con corredi funerari tra i quali uno specchio bronzeo del V sec. a.C., ora custodito nel Museo Diocesano. Nel rione San Nicola e nella gola del torrente Celano, ancora visibili le strutture delle laure eremitiche molto diffuse intorno a Rossano.

In caso di un decesso, come in altri paesi della Calabria, si spegneva il focolare e le donne con i capelli spettinati, iniziavano il lamento funebre sedendo sulla soglia del focolare o sopra dei materassi gettati a terra. Gli uomini col cappello in testa e il mantello sulle spalle, coprivano il loro viso, non essendo dignitoso mostrare le lacrime.

Famoso il detto: "Russano, terre russe e mali cristiani, e si tire ru punente, puru lerva i malamente" (Rossano, terre rosse e cattivi cristiani, e se spira il vento di ponente, anche l’erba diventa cattiva). L’imprecazione si attribuisce ad un monaco che, transitando per questo paese venne derubato e picchiato e dopo la triste avventura, quando si accostò ai bordi della strada per soddisfare i bisogni corporali, un’improvvisa ventata da ponente provocò il contatto delle ortiche con le sue parti denudate. A questa strofetta nei paesi convicini s’aggiunge: "e si mine ra tramuntana ogni fimmina è..."; (e se spira la tramontana, ogni donna è...).

Le ragazze per vedere se avranno buona fortuna, accendono una carta e invocano Sant’Antonio du focu, affinché ne faccia rimanere intatto un pezzetto, ripetendo questi versi: "Sant’Antonu du focu, stipaminni tu nu pocu, Sant’Antonu cuzzareddu, stipaminne nu stozzareddu".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

DE MAFFEI F., Il codex purpureus rossanensis, in "Atti del IV incontro di studi bizantini", Reggio Calabria, 1976; DE ROSIS L., Cenno storico della città di Rossano e delle sue nobili famiglie, Napoli 1838, ristampa 1978;

GALLI E., Un restauro monumentale, La chiesetta bizantina di San Marco in Rossano Calabro, in "L’Arte sacra" II (1932) pp. 69-73;

GRADILONE A., Storia di Rossano di Calabria, 1930;

GEBHARDT Von O., Evangeliorum codez graecus purpureus Rossanensis litteris argenteis sexto ut videtur saeculo scriptus picturisque ornautus, Leipzig 1880;

HASELOFF A., Codex purpureus Rossanensis. Die Miniaturen der griechischen Evangelien-Handschrift in Rossano, Berlin-Leipzig 1898;

LIPINSKY A., Il codice purpureo di Rossano e il frammento sinopense, Roma, 1907;

LOIACONO P. Restauri alla chiesa di San Marco a Rossano Calabro, in "Bollettino arte Ministero P.I." 3^ Ser. XXVII (1933) pp. 374-385;

MUNOZ A., Il codice purpureo di Rossano e il frammento sinopense, Roma, 1907;

SANTORO C., Il codice purpureo di Rossano, Chiaravalle Centrale, Framas, 1974;

TEODORU È., Les églises à cinq coupoles en Calabre: San Marco de Rossano et la Cattolica di Stilo, in "Ephemeris Decoromana" IV (1930) pp. 149-180;

WILLEMSEN-ODENTHAL, op. cit., pp. 57-61.

 
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