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ROSE

Alcune fonti parlano di questa comunità nata all’indomani delle incursioni saracene sulla città capoluogo a partire dalla seconda metà del X secolo, ma al massimo si trattò di un ripopolamento. Ci si spinge in questa direzione se si considerano i reperti archeologici tra cui anfore, tombe in pietra arenaria e lastroni in cotto venuti alla luce in località Incantati e una bella statuetta in bronzo che raffigura una baccante con fiore di loto, attualmente al Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, che lasciano pensare ad insediamenti umani già in età greca e romana.

All’epoca sveva, dovette appartenere alla famiglia che sicuramente le conferì il nome e sotto il cui dominio rimase fino al 1345, quando passò per successione femminile ai De Archis. Nel corso di qualche generazione, per estinzione della linea maschile, subentrano i Sanseverino. E poi la volta degli Spadafora, dei Bernardo, dei Guerra, dei Salerno, dei Firrao fino al 1806.

Nella piazza principale del paese i posto il monumento a Gaetano Argento che, a quanto unanimemente si racconta, in questo paese ebbe i natali (cosa che non trova concorde Gustavo Valente); l’opera è stata modellata da G. Scelbo.

La chiesa di Santa Maria Assunta (matrice) fu fondata il 4. 2.1324. Pur anche darsi che sia stata costruita molto prima se si tiene conto dei reperti (colonna, sculture) incastonati nella parete esterna che possono far pensare al periodo bizantino o addirittura paleocristiano. L’interno è a croce latina con due navate laterali e tre cappelle votive (S. Lorenzo, patrono del Paese, Madonna del Rosario e Cappella del Purgatorio, oggi del Sacro Cuore). Venne semidistrutta dal terremoto del 1908 che funestò l’intero territorio di Rose e ricostruita con le offerte dei fedeli nell’anno 1912 come è attestato da una lapide. I lavori interessarono maggiormente l’interno mentre il campanile è rimasto al posto originario e reca comunque segni dei diversi interventi avvenuti nel corso dei secoli. La parte bassa ha uno stile diverso da quella sovrastante, il che ne attesta le differenti epoche di costruzione; in essa avvenivano le sepolture dei morti attraverso una botola, la cui copertura è stata visibile fino a pochi anni fa nella cappella detta del Purgatorio (ora del Sacro Cuore). Perciò si spiega il nome della terrazza sottostante alla chiesa che viene chiamata comunemente cimitorio; attraverso tale terrazzo si accede alla chiesa e al campanaro anch’esso utilizzato, prima delle leggi napoleoniche, per le sepolture. Per questo motivo si crede che la fuoruscita di fumo-gas avvenuta ai primi di agosto del 1943 dalla cappella del purgatorio e dalla base del campanile, durata due notti ed un giorno e interrotta soltanto dall’opera dei Vigili del fuoco, sia stata causata dalla presenza di migliaia di cadaveri.

Il campanile della Chiesa ha due grosse campane di antica fattura ed esiste ancora, anche se non più in uso per incuria, un orologio meccanico funzionante fino a pochi anni addietro. Sull’altare maggiore, faceva spicco una riproduzione su marmo dell’Ultima Cena, attualmente applicata al nuovo altare frontale. Vi erano posti anche 16 candelabri in argento massiccio improvvisamente ed inspiegabilmente spariti e cambiati con altri candelabri di comunissima latta pitturata in argento. Degna di nota, è una croce astile in lamina d’argento sbalzato e cesellato con due testine di angeli con crocifisso a tutto rilievo modellato in stile barocco in una oreficeria meridionale del 700, la quale, con un ostensorio e assieme a calici doro, pissidi auree e monili doro offerti dai fedeli, faceva parte del corredo della Chiesa.

Si dice che gli oggetti preziosi erano così in gran numero, da riempire una sporta (grande cesto). Ora pare siano rimasti solamente la croce e l’ostensorio, mentre tutto il resto è sparito. L’incuria e l’abbandono dell’attuare struttura addolorano i rosetani che ne ricordano lo splendore d’un tempo. Contiene alcune statue processionali: Sacro Cuore, Santa Lucia, Immacolata, Gesù Risorto, San Lorenzo, San Giuseppe, Sant’Anna, Madonna del Rosario, San Vincenzo Ferreri, tutte dei sec. XVIII-XIX. Di fronte, si erge la chiesa della Confraternita dell’Annunziata (Santa Maria). L’interno è ad una unica navata con cappella molto ampia sulla destra. Per accedervi, si scendono 12 gradini, il che significa che, precedentemente, l’ingresso principale era posto ad un’altra quota. Il soffitto è a cassettoni intagliati e decorati di recente fattura. Sulla parete sinistra è stato posto un gruppo di statue che rievocano la Deposizione di Cristo; segue un’opera del 1858 di Tancredi da Pietrafitta che ritrae l’Adorazione dei Magi. Sull’altare maggiore, ancora gruppo di statue che raffigurano l’Annunciazione; più avanti, è posta momentaneamente la statua di San Giuseppe col Bambino appartenente alla parrocchia di S.M. Assunta. Nel cappellone laterale, Madonna del Soccorso, opera di ignoto pittore provinciale dell’800 e alcune statue processionali: Immacolata, Santa Liberata, crocifisso, Ecce Homo, Addolorata, Cristo nella bara. In una cornice goticheggiante, statua lignea di San Rocco.

Anticamente, quando lunghi periodi di siccità minacciavano la perdita del raccolto, si suoleva ricorrere a San Pietro, ma in modo veramente singolare: si portava la pesante statua lignea (di ilice) alta quasi due metri in una chiesa diversa dalla sua, si incatenava e gli si metteva in bocca una sarda salata.

Del vecchio convento dei Riformati rimane solo la chiesa essendo il chiostro e la parte conventuale non più esistenti. Oggi è la chiesa parrocchiale, più nota come chiesa del convento, ed è dedicata a San Pietro Apostolo. E' ubicata fuori del centro abitato; faceva parte integrante del convento, un tempo degli Agostiniani, fondato nel 1585, e successivamente, dal 1661, passato ai Minori Riformati. Dopo la soppressione degli ordini monastici (1811), il convento fu incamerato dallo stato che lo rivendette al Comune assieme al terreno ad esso adiacente. Gli acquirenti avevano il serio proposito di riconsegnarlo nuovamente ai monaci; ciò avvenne tramite il padre guardiano (Francesco Moliterno); i frati vi ritornarono e lo tennero per molti anni fino a quando il terremoto del 1905 non lo rese più abitabile. L’interno è mononavato con cappelle laterali su un solo lato; sopra l’atrio d’accesso, bel soffitto ligneo. Tra le opere d’arte, fa spicco una bella pala d’altare di notevoli dimensioni, su cui è effigiata l’Immacolata e, ai lati, i simboli delle laudi; in basso, i Santi Francesco di Paola e Agostino. Nella predella, sei pannelli con episodi della vita di sant’Agostino. Il quadro è racchiuso in una cornice seicentesca, sorretta da due colonne scanalate alle cui sommità sono posti due capitelli corinzi. Inoltre, dipinto di San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate e busto ligneo dell’Ecce Homo di ignoto del 700.

In Piazzetta le Grazie, per interessamento del parroco del tempo, negli anni trenta, è stata costruita la chiesa della Madonna delle Grazie. E' ad una sola navata e non ha particolari elementi architettonici se si eccettuano un bell’arco ligneo opera di un artigiano locale.

Durante le cerimonie funebri era possibile constatare l’appartenenza sociale del defunto: se era morto un povero, veniva accompagnato con una croce di legno, se si trattava di un ricco, si adoperava una croce d’argento. Non solo, il ricco veniva confortato dalla presenza dei suoi servitori o dei coloni che passavano la notte prima delle esequie in compagnia della salma, e che la vigilavano fino alla sepoltura; i parenti provvedevano ad inviare vettovaglie. Se la ricchezza del defunto non era proveniente dalla terra, si assoldavano coloro i quali dovevano piangere. Durante l’ultimo viaggio verso il cimitero, la bara veniva portata in spalla, con quattro bracieri accesi sorretti da altrettanti portatori che, di tanto in tanto, provvedevano a versarvi l’incenso.

Transitando tra Castellara e Varco San Mauro, si giunge ad una località chiamata Donna Margherita che ricorda la leggenda di una ricca donna uccisa da un uomo di nome Raone che la seppellì col suo tesoro. Come avviene in molti casi analoghi, quando un tesoro viene sepolto col sangue, perché sia recuperato necessita ancora di sangue, quindi di un ulteriore assassinio.

Si dice che, verso la fine del secolo scorso, qualcuno avesse trovato una botola; apertala, trovò una catena; man mano che cercava di issarla però, sentiva brividi di freddo salire dai piedi, quando avvertì veri e propri sintomi di congelamento che arrivavano all’altezza del cuore, il cercatore grido: "Madonna Mia !" e tutto svanì perché, quando si cerca un tesoro non bisogna parlare né, tantomemo, invocare nomi di santi. Dopo Varco San Mauro ci la Fontana del Brigante con l’omonimo bosco, a testimonianza della presenza da queste parti di un rifugio per fuorilegge.

Particolarmente temute erano le fantasie e le magare che si aggiravano per le strade di Rose dopo una certa ora. Le prime erano figure di donne orribili e altissime che sbarravano la strada ai passanti e cercavano di catturarli; le seconde erano più simili alle streghe e potevano assumere le sembianze più disparate, anche di minuscoli animali. Sono portatrici di sventure e perciò bisogna tenere dietro la porta una lama affilata così da impedire che entrino in casa.

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

BILOTTO L., I feudatari di Rose, in "Araldica calabrese", Rossano, ST. Zeta, 1994;

IDEM, I Sanseverino e la terra di Rose, in "Araldica calabrese", Vibo V., Mapograf, 1995; N. Cimbale, Rose;

DE LEO P., Un feudo vescovile nel mezzogiorno svevo, Il Centro Ricerche, Roma, 1984;

NAPOLILLO V., Rose, materiali storici ed artistici, Cosenza, ed. OR. ME., 1995;

FERA L., Divisione demaniale del feudo di Rose tra gli eredi del principe di Bisignano.

 
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