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MORANO CALABRO

Di origini remote, questo paese appare come Muranum nella Lapide di Polla del 132 a.C. e come Summuranum nell’Itinerario Antonino. Priva di fondamento si rivela la tesi secondo cui il nome Morano derivi da una sua fondazione o dalla presenza in quel posto dei Mori, giacchi, come si visto, esisteva già da secoli, e in ogni caso prima dell’apparire dei primi Musulmani sulle nostre coste; altrettanto fantasiosa è l’ipotesi che vuole il nome del paese derivato dal consistente numero di gelsi mori largamente diffusi in tutta la Calabria. Tutta da verificare la sua derivazione dal verbo greco maruo (raccogliere insieme) oppure da meruma (cumulo). Più verosimilmente, Morano è la corruzione dei nomi latini (muranum e summuranum).

La sua storia feudale inizia con Apollonio Morano, prosegue con i Fasanella, e con Antonello da Fuscaldo. Il paese passa quindi sotto il dominio dei Sanseverino e, in seguito allo sfaldamento di questa famiglia, agli Spinelli di Scalea che la mantengono fino all’eversione della feudalità (1806). Nel suo territorio, sono avvenuti interessanti ritrovamenti (lucerne sepolcrali, monete, ossa umane) e avanzi di cinta murarie con due porte urbiche (Ruderi di Sassone). La grotta di Donna Marsiglia, esplorata nel 1960 da Agostino Miglio e, successivamente, da Santo Tini, già menzionata nell’800 dallo storico moranese N. Leoni, è una caverna preistorica naturale trasformata in sepolcreto nel Neolitico e nella prima Età dei metalli. Vi si sono ritrovate reliquie sepolcrali (frammenti di ceramiche, asce rituali di selce nera) dell’Età del Rame e del Bronzo.

Si inizia la visita dalla chiesa di San Bernardino, complesso monastico fondato nel 1452 da Pietro Antonio Sanseverino e consacrato il 23 aprile 1485 dal vescovo di San Marco, Rutilio Zenone; fu affidato ai Minori Osservanti e dedicato a San Bernardino da Siena. Il portico è a 4 arcate, con 2 portali del 400: il primo, in stile gotico-durazzesco, il secondo, gotico-lanceolato. Qua e là, tracce di affreschi in cattivo stato. La chiesa, mononavata, ha tre cappelle sagomate con un arco acuto lanceolato che delimita il presbiterio con volta a crociera costolonata ogivale. La navata è coperta da un soffitto ligneo carenato costruito nel 1538 che si richiama a modelli veneziani. Al di sotto, sull’asse dell’arco maggiore, crocifisso ligneo del sec. XV scolpito a tutto tondo con tracce di pittura. Nel coro, leggio ligneo intagliato a facce quadripartite con pannelli decorati con motivi araldici, costruito nel 1536. Addossato alla parete sinistra, ecco un pergamo ligneo, col prospetto formato a piccoli scomparti che racchiudono le figure a rilievo di San Francesco d’Assisi, San Bernardino da Siena e Sant’Antonio da Padova, opera barocca di artisti meridionali del 1611. Il coro in legno di noce è del 1656.

L’opera più bella della chiesa è senz’altro il polittico di Bartolomeo Vivarini, firmato e datato 1477. La pala d’altare è divisa in 25 pannelli dipinti ad olio separati da una ricca cornice e da un intaglio in gotico - veneziano. In alto, Cristo tra Sant’Antonio da Padova e San Ludovico di Tolosa; in basso, Madonna col Bambino tra San Francesco d’Assisi e San Bernardino; a destra, i SS. Girolamo, Agostino e Chiara; a sinistra, i SS. Giovanni Battista, Nicola di Bari, Caterina d’Alessandria; nella predella, i 12 apostoli. Inoltre, nella prima cappella, statua lignea del 600 raffigurante San Bernardino; nella seconda, dipinto su tela dei primi del 600 di Daniele Russo raffigurante l’Immacolata. In sagrestia, frammenti di un polittico cinquecentesco nei quali sono raffigurati i SS. Francesco, Bonaventura, Giuseppe, Bernardino, Antonio. Nel vano campanile, intagli lignei del sec. XVII; il chiostro quattrocentesco, a sinistra della chiesa, i a pianta quadrata con cappelle divise da pilastrini ottagonali.

Ancora nella parte bassa del paese, si erge la chiesa di S.M. Maddalena meglio nota come Collegiata della Maddalena. E' un maestoso santuario di origine bizantina ristrutturato alla fine del 500, nel 600 e nel corso dell’800. La facciata neoclassica è stata ristrutturata nel 1844; la cupola cinquecentesca, rifatta in epoca barocca, maiolicata a due colori, è del 1868. L’interno è a croce latina, trinavato, decorato con marmi, parte dei quali riutilizzati e provenienti dal santuario di Santa Maria di Colloreto appartenuto agli Agostiniani. Partendo da sinistra, nella prima cappella, ciborietto in marmo con 2 figure in bassorilievo (Annunziata ed Angelo annunziante) scolpite nel 600; segue dipinto dell’Assunta con la Trinità e i SS. Girolamo e Nicola di Bari, opera di Antonio Sarnelli del 1747; nella terza cappella, l’Addolorata di P. Lopez (1748). Sul quarto altare, tela dello stesso Sarnelli raffigurante la Madonna del Rosario; a lato, lapide dedicatoria della donatrice: Rosa Pignatelli, principessa di Scalea; sul quinto altare, San Francesco Saverio, dipinto attribuito a P. Lopez; poi, crocifisso ligneo scolpito e dipinto nel sec. XVII. Nel transetto sinistro, Madonna della Candelora, statua marmorea di scuola gaginesca della fine del 500. L'altare maggiore è in marmi policromi con tre nicchie nelle quali sono poste: al centro, statua della Maddalena con due putti, espressione di scuola fansaghiana del 600; ai lati, S. Agostino e S. Monica, statue marmoree della stessa scuola, provenienti dal convento degli Agostiniani di Colloreto. In basso, due angeli oranti attribuiti a Pietro Bernini (fine del 500). Inoltre, 4 tele del 600 dipinte ad olio. Il coro ligneo, opera di A. Fusco (1792-93), è a tre ordini di posti, in legno di noce con intagli e, al centro, trono sacerdotale; anche il pulpito ligneo i opera dello stesso artista; l’organo, costruito nel 1763, presenta fregi di ornato in legno dorato ed è stato restaurato nel 1891. Nel transetto destro, olio su tela del sec. XVIII raffigurante Santa Teresa d’Avila; statua lignea della Candelora e splendida statua marmorea raffigurante la Madonna degli Angeli, scolpita nel 1505 da Antonello Gagini. Passando sul lato destro, sulla quarta cappella, Transito di San Giuseppe, opera di Giuseppe Tomaioli del 1742; sulla terza cappella, Miracolo di San Francesco Saverio, dipinto dal Sarnelli nel 1747; sulla seconda cappella, Madonna con anime purganti, dipinto su tela attribuibile, secondo alcuni, al pittore locale Fedele Lo Tufo; sul primo altare, Immacolata, statua lignea del 1619. Accanto, si erge la chiesa del Carmine, mononavata con cantoria dipinta. Contiene un affresco della Madonna del Carmine e uno raffigurante una pacchiana col tipico vestito locale; inoltre, organo del 1732 di Gennaro Cociniello e altare del 700 con fastigio ligneo.

Salendo, ci si trova in una piazzetta con fontana in pietra del 1590; ha tre mascheroni sovrastati da un altorilievo con lo stemma del paese. La chiesa di San Nicola, che vi prospetta, col bel portale ogivale, è ad una sola navata ed è stata edificata su due livelli. La parte inferiore, detta succorpo, è medievale, con volta a crociera nel presbiterio; la parte superiore è del 400. Quest’ultima, contiene interessanti opere d’arte: a sinistra, sul primo altare, statua marmorea raffigurante la Madonna del Buon Consiglio attribuita alla scuola del Bernini; sul secondo, statua di Cristo Re; sul terzo, crocifisso ligneo del 500. Sulla parete sinistra del passaggio al succorpo, grande tela cinquecentesca raffigurante la Madonna in trono con due santi. Bello il coro ligneo a 15 stalli decorati, eseguiti dall’intagliatore locale Agostino Fusco nel 1779.

Nella chiesa inferiore, nella nicchia dell’altare maggiore, statua della Madonna della Candelora; a sinistra, una tela raffigurante il Giudizio Universale dipinto da Angelo Galterio (o Gualtiero) da Mormanno nel 1739. In cima all’abitato si erge la grandiosa mole del castello di origine normanna, costruito sicuramente sul sito di una costruzione esistente già in epoca romana. Aveva pianta rettangolare con sei torri cilindriche, era circondato da un fossato ed era anche provvisto di serbatoi d’acqua.

La sua ricostruzione dovette avvenire tra il 1514 ed il 1545, sotto il dominio di Pietro Antonio Sanseverino, che si ispirò al modello di Castelnuovo di Napoli. Nei primi del sec. XVII vi dimorarono i principi Spinelli di Scalea, ma, successivamente, venne abbandonato a se stesso tanto che, nel 1807, i francesi lo trovarono già diroccato. Sempre nella zona alta del paese, sorge una delle più antiche chiese di Morano, quella dedicata ai SS. Pietro e Paolo. Eretta nel 1007, subì ristrutturazioni nel corso del XIII e XV secolo. Ha un campanile quadrato in stile romanico ed è preceduta da un sagrato. Le linee semplici della facciata, evidenziano una nicchia che contiene la statua di San Pietro in cattedra, opera di ignoto scultore napoletano. L’interno è trinavato; sulla destra, prima cappella con statua di Santa Lucia scolpita da Pietro Bernini nel 1591, proveniente dalla chiesa di S. Maria di Colloreto; il secondo altare contiene una tela raffigurante San Biagio, Sant’Anna e San Francesco che adorano la Madonna col Bambino, opera di Giovan Battista Calimodio da Orsomarso, datata 1666. Segue crocifisso ligneo del 500. Sull’altare del transetto destro, statua marmorea raffigurante San Paolo scolpita nel 1621 da seguace di Pietro Bernini. Nell’abside, pregevole coro ligneo iniziato da Agostino Fusco nel 1792, continuato dal figlio Mario nel 1796 e completato nel 1805. E a tre ordini di posti (i primi due per i canonici, il terzo per i chierici); su ogni posto, tranne due, è dipinta l’immagine di un apostolo e scolpito il suo nome. Alle pareti, due tele raffiguranti i SS. Pietro e Paolo, forse donati alla chiesa dalla locale università (amministrazione comunale) perché San Pietro reca sul fastigio della cornice lo stemma di Morano.

In bella evidenza, statue marmoree dei SS. Pietro e Paolo scolpite, secondo il parere unanime dei critici, nel XVIII sec. da artista di scuola berninesca, tuttavia, recenti ricerche e il catalogo di una mostra del Bernini, propendono per una sicura attribuzione delle opere al grande maestro. Si passa sul lato sinistro: sul terzo altare, Adorazione dei pastori attribuita a G.B. Calimodio da Orsomarso; sul primo, bellissima statua marmorea raffigurante Santa Caterina d’Alessandria scolpita da P. Bernini e proveniente dalla chiesa di S. Maria di Colloreto. Sopra l’ingresso, organo della prima metà del 700; appoggiato alla parete dell’abside, organo più piccolo del 1734. In sagrestia: bel dipinto seicentesco raffigurante l’Immacolata in gloria con i simboli mistici delle Laudi; la Madonna e Santa Lucia col miracolo dei buoi, anch’essa di anonimo del 600; lastra tombale figurata con medaglioni con scudi araldici e fogliame goticizzante (in quello centrale, il Redentore, ai lati, figura di santi). Infine, preziosa croce astile in lamine d’argento a doppia faccia lavorata a sbalzo, cesello ed incisione: nel "recto", al centro, Cristo in croce, alle estremità altri altorilievi sbalzati della Madre, dell’Addolorata, di S. Giovanni, della Maddalena; in alto, angelo scendente a braccia aperte con una corona; nel "verso", figura centrale di San Pietro benedicente; alle estremità, simboli dei quattro evangelisti a sbalzo; è datata 1445, col nome del donatore Antonello de Saxonia; l’autore, anonimo, da alcuni è ricercato tra gli argentieri cosentini del XV secolo, da altri tra gli orafi abruzzesi del 400.

Sulla provinciale per San Basile, chiesa dei Cappuccini la cui costruzione, iniziata nel 1590, venne completata nel 1606. Si segnalano: l’altare di Sant’Antonio, di San Francesco e Dell’Addolorata, costruiti in legno con ricco intaglio floreale. L’altare maggiore con bel ciborio costruito da Fra Luca da Mormanno, è a 5 ripiani in legno di noce, sormontato da una tela raffigurante San Francesco e la Madonna col Bambino, incastonata tra quattro colonne che reggono una ricca cornice. Sotto l’altare, paliotto in stucco dove, su fondo nero, emergono dei tranci floreali policromi con coppia di pavoni ai lati di uno stemma, opera di artigianato calabrese del Sei - Settecento.

A Morano per impossessarsi del tesoro di Donna Marsilia nascosto nella contrada Sassone, era necessario uccidere sul posto un bambino e spappolare il suo fegato battendolo per tre volte su una roccia. Si dice che in passato una simile credenza abbia veramente fatto delle vittime. Si riteneva che chi sotterrava un tesoro affinché fosse ben custodito, vi sacrificava sopra un bambino perché il suo spirito facesse da guardia. Naturalmente, se tutte le fasi del rituale non venivano eseguite, si trovavano al posto del tesoro dei carboni spenti oppure erano tuoni e fulmini ad impedirgli di arrivarci.

Il giorno delle nozze gli amici degli sposi offrivano la pitta (focaccia) agli amici della sposa; si chiamava cullaccio, un pane rituale che la sposa provvedeva a spezzare e distribuire. A celebrazione avvenuta, la suocera aspettava la nuora sull’uscio di casa e le offriva dello zucchero in un cucchiaino.

Da Morano si sale in montagna per festeggiare la Madonna del Pollino che ha luogo nei primi di luglio. Tra il 1725 e il 1730 la Madonna apparve ad un pastore che custodiva il suo gregge. In seguito alla diffusione della notizia e alla marea di pellegrini che accorrevano da ogni parte, venne costruita la cappella. Il primo sabato di luglio, a mezzogiorno, ha inizio la suggestiva processione. Dopo l’incanto del simulacro, il pellegrinaggio viene accompagnato dal suono di cornamuse, organetti, tamburelli e zufoli. Numerose donne partecipano al corteo recando in testa enormi gabbie di ceri colorati. Ma la festa comincia già alla vigilia con canti e preghiere popolari attorno ai numerosi falò. Si racconta ancora un fatto veramente curioso verificatosi dopo l’Unità d’Italia.

Notoriamente, prima del 1860, ogni piccolo stato di cui era composta la penisola italiana aveva una propria moneta: il ducato a Napoli, il fiorino a Firenze, la lira a Torino e così via. Con l’unificazione la lira divenne moneta nazionale e soppiantò tutte le altre. Cosicché a Morano il focatico venne espresso con la nuova moneta che valeva circa quattro volte più della precedente, inducendo i paesani a credere che il regno sabaudo avesse quadruplicato le tasse. Ne seguì una sommossa popolare che destituì il sindaco e le autorità governative e che si placcò solo con l’energica azione repressiva dei militari di Castrovillari.

Vestito tradizionale secondo Padula: "Tutte d’un modo, signore e villane. Cammisola rossa, gonnella blu o nera con gallone celeste, maniche staccate, pannello in testa (fornende), favorino (sinale). Alle spalle trena d’oro. Scarpe con fibbie d’argento".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CAPPELLI B. I conventi francescani di Morano Calabro, Castrovillari, Patitucci, 1926;

IDEM, Il castello di Morano, in "Brutium", n. 10, 1927;

IDEM, Un polittico francescano di B. Vivarini in Calabria, Ravello, 1931;

MARTELLI G., Uno sguardo all’architettura calabra dal risorto S. Bernardino di Morano, in "Brutium", n. 7-8, 1950;

SALMENA A., Morano Calabro e le sue case illustri, Milano Bellini, 1882;

SEVERINI V., Canti popolari di Morano Calabro;

IDEM, Gio. L. Tufarello e le antichità di Morano Calabro, Morano, tip. Sibari, 1901.

 

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