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LONGOBARDI

Si ritiene quasi unanimemente che il paese sia stato fondato durante il regno di Liutprando intorno al 715. Ci anche chi (Vincenzo Padula) vuole sia stata la preistorica Era. In ogni caso, il nome di quel condottiero a cui si attribuisce la paternità della fondazione, appare, anche se corrotto e dialettizzato, quale toponimo di un pianoro a nord del paese. Fu noto anche come Longovardi, infeudato alla baronia di Fiumefreddo retta a quel tempo da Simone Mammistra. In seguito vi subentrarono le famiglie di Giovanni Bomio de Freny, Sanseverino, Cardona, Sanseverino di Somma e, dal 1525 fino all’eversione della feudalità (1806), seguì le sorti degli Alargon Mendoza, marchesi di Rende e della Valle Siciliana. Del castello feudale rimangono avanzi medievali.

La chiesa matrice intitolata a Santa Domenica, venne eretta a cura di maestranze locali nel sec. XVII e rimaneggiata nel secolo successivo. Il campanile è frutto degli interventi del 700. All’interno, decorato in stile barocco, cappella del Sacro Cuore con dipinto raffigurante l’Ultima Cena, opera di ignoto pittore napoletano del 700. La forma della tela ricalca quella della cornice di stucco che la contiene. La rappresentazione è di un certo interesse e con elementi originali quali un cane accovacciato e un lampadario che illumina la tavola. Anche la tela sulla quale è effigiata l’Immacolata ha un’iconografia inconsueta con la Vergine che ordina all’Arcangelo Michele di scacciare il demonio con la sua spada e il Bambino che offre un giglio a San Domenico; in basso, una bimba invoca la protezione della Madonna; pure quest’opera è stata dipinta da anonimo maestro napoletano del 700. Altra tela di un certo interesse, relativamente al contesto in cui siamo, raffigura l’Assunta (10 altare destro). Non è firmata ma pur essere collocata nell’ambiente del giordanesco Antonio Sarnelli la cui opera è ben documentata (sec. XVIII). Sul secondo altare di destra, un dipinto degno di nota è la Deposizione di Cristo, opera rinascimentale ad olio su tavola, proveniente da bottega napoletana. A destra, dopo l’ingresso, mediocre tela dell’800 raffigurante Santa Teresa del Bambin Gesù; sul 30 altare, Gesù che dà le chiavi a San Pietro, di ignoto artista del sec. XIX. Sul 20 altare sinistro, Madonna di Pompei, opera di ignoto ottocentesco con insolita iconografia. Addossati alla parete absidale, scanni lignei con alti postergali. Tra le statue: Sacro Cuore, San Giuseppe, Sant’Antonio Abate, San Giovannino.

La chiesa della Madonna di Taureana, venne fondata nel sec. XII ed era sottoposta al monastero benedettino di Subiaco. Nel 400 fu ricostruita seguendo i canoni del primo rinascimento e cancellando le linee originarie. Il portale della chiesa è archiacuto, al di sopra, stemma nobiliare e rosone gotico. All’interno, ora presso il gabinetto di restauro della Soprintendenza di Cosenza, era custodito uno splendido dipinto di Teodoro d’Errico detto il Fiammingo, raffigurante la Madonna col Bambino in gloria tra i SS. Benedetto e Leonardo; in alto l’eterno Padre che con una mano benedice e con l’altra regge il globo terracqueo.

La Chiesa dell’Assunta, del sec. XVII, ha portale in calcare decorato del sec. XVII. L’interno si sviluppa in due navate; quella destra fu costruita nel 1696 a cura del Beato Nicola di Longobardi. Vi fa spicco una cornice lignea intagliata e dorata con volute e motivi floreali, di ignoto maestro meridionale del 600 contenente un dipinto che ritrae la Decapitazione di Santa Caterina. Di uguali caratteristiche, ma di diverso disegno, è un’altra cornice in stile barocco leccese che riquadra una reliquia di Santa Innocenza, che appare come adagiata in un sepolcro. Poi, bel pulpito ligneo proveniente da bottega provinciale del 700. Inoltre, pregevole tabernacolo in legno con intagli finissimi, scolpito da maestro napoletano del 700. Sull’altare maggiore, in una cornice lignea con intarsi, delimitata lateralmente da colonne scanalate con capitelli corinzi su cui poggia la ricca trabeazione sagomata, contornate da volute e motivi floreali, è racchiusa una tela sulla quale è raffigurata l’Assunzione della Madonna.

Nei pressi è visibile un importante portacandele in legno intagliato da artiere di scuola napoletana del sec. XVIII. Interessante un baldacchino damascato di seta con i tradizionali simboli liturgici, opera di ignoto manufatturiero meridionale del 700, e due paliotti della stessa epoca ricamati con motivi floreali. Anche una credenza per ampolla scolpita in pietra tufacea da ignoto scalpellino provinciale è del 700. In una sontuosa cornice lignea di ignoto maestro napoletano del sec. XVIII, con ricche volute e motivi floreali, è racchiusa una nicchia contenente la statua lignea di San Francesco di Paola scolpita a tutta figura e a tutto tondo da ignoto napoletano dello stesso secolo. Della stessa provenienza è un busto ligneo ritraente il santo di Paola in atteggiamento di preghiera. Degne di rilievo sono anche le tele raffiguranti rispettivamente San Carlo Borromeo di ignoto meridionale del 700 e una Deposizione di scuola napoletana del 500 oltre alla lapide commemorativa del 1617 di ignoto scultore locale, sulla quale è inciso lo stemma della famiglia Michelia di Melissa. Ancora visibili i resti del convento benedettino.

A Longobardi cera l’usanza di allietare la festa di Pasqua con un ballo chiamato la torre che altro non era che una piramide umana; una prima fila di sei persone reggeva sulle spalle un altro gruppo di quattro giovani i quali, a loro volta, ne sostenevano altri due. La torre, dal santuario della Madonna di Tauriana, dopo aver mangiato il tradizionale dolce pasquale chiamato cuculo, danzando (come meglio poteva) si recava fino al paese al suono di zampogne, insieme col popolo in festa. Nei dintorni era posta una palla di cannone in una rete, la tradizione riporta che la Madonna uscì dalla chiesa e si fermò sopra un sasso per prendere con la mano la palla che, altrimenti, avrebbe colpito la chiesa. Sul masso è impressa l’impronta del piede.

Tra le varie grotte comprese nel suo territorio (Spruvieru, Serravientu, Culazzieri, dellu Tuostu), quella dellu Spagnuolu pare che si chiami così perché nel giorno di Sant’Antonio un soldato spagnolo vi si rifugiò con la sua donna e, ferito mortalmente, uccise anche lei, per cui le loro ombre si aggirano ancora nella grotta.

L’appellativo di crocifissuori è dovuto all’omicidio perpetrato ai danni di un "tristo delatore" che venne inchiodato vivo ad una quercia.

Costume tradizionale: "Panno rosso cupo le zitelle scarlatto le maritate. Poi si mettono il lubriettu; onde metà è di tela tessuta in casa; l’altra dalle natiche in sù, è di teletta cotone (verde se zitella, rossa se maritata). In capo ritorto e rizzola. Nel lutto stretto, il rituortu dicesi vannarella (bendarella), è di calamo e seta, tessuto in casa".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CELASCHI S., Longobardi nella storia civile e religiosa, in "Calabria Letteraria", 1976, n. 1-2-3;

FRANGELLA E., Longobardi, storia locale, Soveria Mannelli, Calabria letteraria, 1987.

 

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