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APRIGLIANO

Questo paese si differenzia dagli altri casali per avere origini antecedenti alle invasioni saracene; sorse in epoca bruzia col probabile nome di Arponio (falcato dal Crati) che mantenne fino al XII secolo. Anche Plinio ne parla citandolo però col nome di Aprustum. Al tempo dell'abate Gioacchino compare il nome di Arpiliano con numerosi casali a lei aggregati: Aprigliano, Agosto, Casignano, Corte, Grupa, Guarno, Pedalina, Petrone, Piro, San Nicola delle Vigne, Vico e Santo Stefano. Si vuole anche che il nome, per la sua caratteristica posizione e per il clima mite, primaverile, derivi da aprile.

A Vico, in una zona leggermente pianeggiante sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Venne eretta nel 1483 assieme al convento degli Agostiniani, di cui non è rimasta traccia alcuna. La facciata tripartita, anticipa la divisione interna a tre navate divise da robusti pilastri; ha tre bei portali in pietra e un campanile. All'interno, rifatto settecentesco, statua di marmo carrarese a figura intera con scannello che reca la scritta: Maria Mater Gratia MDLIIII, raffigurante la Madonna delle Grazie, probabile opera di G. Battista Mazzolo, di scuola gaginesca, scolpita nel 1564; l'opera, proveniente da un antico convento dedicato a Santa Maria delle Grazie, venne danneggiata durante il trasporto per cui il Bambino restò privo della testa e la Madonna di una mano. I dipinti raffigurano: Crocifissione, Madonna col Bambino e San Rocco, Madonna delle Grazie tutte di ignoti del sec. XIX. Tra le opere lignee: crocifisso del sec. XX, statua dell'Immacolata (sec. XIX); statua di Sant'Antonio da Padova (sec. XIX), reliquiario (sec. XVII). Il battistero con cappello ligneo poligonale intagliato, è del '600; inoltre, stipo in noce intagliato e croce processionale in argento.

A Grupa, la parrocchiale dedicata a San Demetrio, venne edificata nel sec. XVI; tuttavia, della struttura originaria, rimane poco a causa del rifacimento effettuato nel sec. XIX. Gli elementi residui sono caratterizzati dal portale in pietra, dallo schema basilicale a tre navate e dal pavimento in blocchi tufacei. Nel transetto a pianta semicircolare con copertura a volta semisferica, altare di stucchi ad imitazione del marmo. Sulla parte destra si erge il campanile a pianta quadrangolare. I dipinti raffigurano: Madonna del Carmine con i SS. Lorenzo, Giovanni Battista, San Francesco di Paola; Madonna del Rosario tra i SS. Domenico, Caterina, Pietro da Verona, Rosa del sec. XIX; Madonna col Bambino San Giacomo e altro santo; Immacolata con San Nicola e San Francesco di Paola del sec. XIX. Oltre ad un crocifisso ligneo dell'800, della stessa epoca sono le statue lignee dedicate a San Rocco, San Giuseppe Colasanzio, Addolorata, Immacolata. Inoltre, armadi e confessionali lignei settecenteschi.

La cinquecentesca chiesa di Santo Stefano sita nell'omonima frazione, venne radicalmente rifatta nel 1757 e nel 1920. L'interno, ha tre navate e una sola abside con l'altare maggiore del 1622. Tra le opere degne di nota, vi sono: due altari del sec. XVIII; un fonte battesimale in pietra; due tele di C. Santanna del 1801 (Madonna col Bambino tra i SS. Pietro e Stefano e Madonna del Rosario); una tela tardo rinascimentale datata 1560, racchiusa in una pregiata cornice, opera del maestro intagliatore del luogo Vincenzo Muti; un dipinto raffigurante Santo Stefano di Ugo de Marra del sec. XX che ha effigiato anche un San Francesco di Paola nel 1912 e altro olio su tela di ignoto del sec. XIX su cui è ritratto San Francesco di Sales. Le statue raffigurano: Addolorata (lignea, sec. XIX), Santo Stefano (sec. XX), Madonna di Porto (legno, sec. XIX), Pietà (sec. XIX).

Nella chiesa è sepolto Domenico Piro, alias, Donnu Pantu, morto nel 1646. Si tratta di un sacerdote particolarmente portato per la poesia dialettale del quale rimangono alcune composizioni veramente originali. Si pensi che alcune hanno il titolo: Cazzeide e Cunneide. Ma non si può parlare di poeta osceno, piuttosto di un filosofo fustigatore dell'ipocrisia del suo tempo, ma evidentemente deluso della sua attività letteraria per le misere condizioni economiche nelle quali versava; ne fa fede questo sonetto:

Fratema dice ca nun vale l'uoru/ ca ccu lu litteratu nun c'è paru: Io lu vorra truvare nu trisoru/ Ppe dire bona notte a lu livraru./ Ca sette savi della Grecia fuoru; E tutti uottu de fame creparu,/E si campu n'autru annu, e si nun muoru, o chianchieri mi fazzu, o tavernaru. (Mio fratello dice che a nulla vale l'oro, perché nemmeno si può confrontare con il letterato: Io vorrei trovare un tesoro, per dire buona notte al libraio. Perché furono sette i savi dell'antica Grecia e tutti e otto morirono di fame. E se campo un altro anno e se non muoio, mi faccio macellaio o taverniere).

Naturalmente, tranne qualche rarissimo sostenitore, Donnu Pantu ebbe solo detrattori. Si pensi che l'Accattatis, autore di un vocabolario del dialetto calabrese, a proposito delle già citate poesie, diceva: "la decenza non mi permette di trascrivere per intero i titoli innominabili. la Ca.è un bizzarro e lussurioso poemetto di 21 ottave, in cui si fanno bernescamente le lodi più ampollose ad un membro innominabile del corpo animale".

Nella frazione Corte, chiesa dedicata alla Madonna del Rosario e a San Leonardo. All'interno, mononavato, il Battesimo di Cristo del 1985; statua della Madonna del Rosario; dipinto raffigurante San Luigi e statua di San Leonardo. Nell'abside, statue di Santa Rita e del Sacro Cuore. Sull'altare maggiore, tela raffigurante la Madonna del Rosario, nella quale si intravede la mano del Santanna.

In località Guarno, chiesa di Santa Domenica con torre dell'orologio; all'interno, dipinti raffiguranti i SS. Rocco, Francesco di Paola e Rosa, eseguiti da Francesco Saverio Carvelli nel 1770. Dalla frazione Agosto, si scende fino ad un suggestivo borgo chiamato S. Maria. Siamo ormai nei pressi del torrente Craticello, che più avanti si chiamerà Crati. Si giunge per prima alla chiesetta di S. Maria Immacolata, mononavata con portale tufaceo a tutto sesto e, in alto, finestra quadripartita; ai lati, colonnine con capitelli e simboli fitomorfi. Il campanile è quadrangolare con cuspide. Varcato il torrente, chiesetta abbandonata detta della Catena. Sopra la frazione Santa Maria, altra chiesetta abbandonata dedicata a San Giovanni. In contrada Petrone, chiesa di Santa Lucia con in evidenza, statua lignea della santa titolare (sec. XIX), e i seguenti dipinti: San Giuseppe (fine '700-inizi '800), Santa Lucia (sec. XIX), Gesù tra i SS. Pietro e Paolo di V. Fiozzi del sec. XVIII. La chiesa di San Nicola, si erge nell'omonima frazione. All'interno, dipinto ottocentesco raffigurante: Madonna col Bambino, San Nicola e altro santo e Sant'Antonio da Padova del sec. XVIII. Il santo titolare è modellato anche in una statua di fine '800.

Il costume tipico delle donne era composto da sottana rossa e gonna dello stesso colore, oppure turchina o verde, camicia con trine. Poi, giuppone, pettiglia, e il fazzoletto annodato al collo. La pettinatura prevedeva tre scrime.

Degli abitanti si diceva: Judei d'Agosto; majolini (ladri) di Patrune; santari (amanti di feste) di Corte; camurristi di Guarno; parabulari d'a Grupa; ortulani du Vicu. Ad Aprigliano si crede che le serpi nere nascondano l'anima di un uomo ucciso o di pagani erranti senza pace, tanto che quando se ne incontra uno si dice: "San Paulu Ceraulu, ammazza chissu; ammazza buonu ch'è nu mal'uomu" mentre le serpi bianche custodiscono anime del purgatorio e si ritiene fortunata la località che le ospita. A chi tenta di ucciderle, rimarrà il braccio bloccato.

In questo paese, pare che, talvolta, alla morte di una serpe, sia seguita quella del padrone del podere dov'era ospitata. Non solo, i serpenti indicherebbero ai cursunari anche dove sono le erbe medicinali, gli stessi, com'è noto dicono di avere la capacità di incantare i serpenti e renderli innocui. Costoro vengono anche chiamati ceraulari o sampaulari perché, come si rileva dagli atti degli Apostoli (c.18), San Paolo non ebbe a soffrire alcuna conseguenza dal morso di una vipera ad una mano mentre poneva alcuni sarmenti al fuoco, durante una sua sosta all'isola di Malta. In questo paese anche la lucertola è considerata di buon augurio, infatti si dice: "a chi ammazza na licerta la Madonna mina 'na scaffetta; a chi ammazza nu cursunu la Madonna duna nu vasunu".

Quando moriva un uomo, mentre la vedova si strappava i capelli, le parenti la aiutavano a straziarsi il viso ed il corpo picchiandola anch'esse. La scena assumeva toni più intensi quando il cadavere usciva di casa.

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

DE GIACOMO G., Canti popolari di Aprigliano, in "La Calabria", 1894, n. 18, 78,;

DE LORENZO I., Aprigliano tra storia e cronaca, tesi UNICAL, a. 1986-87.

 
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