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ALBIDONA

Gustavo Valente nel suo poderoso dizionario, lo indica come paese antichissimo e ne riallaccia la nascita a Leutarnia o Levidonia, città che, all’indomani della guerra di Troia, accolse alcuni profughi guidati da Calcante, l'indovino di cui parla Omero e morto proprio in questi luoghi, per il dolore di aver perduto la gara di chiaroveggenza ingaggiata con Mepsos, il figlio di Apollo. Accanto alla sua tomba, trovarono sepoltura anche Podalirio, figlio di Esculapio e il fratello Macherone, entrambi medici, appositamente venuti insieme con l'indovino.

Sorto sul sito di un vulcano spento in lontane epoche preistoriche, Levidonia divenne Albidona e appare scritta anche col nome di Alvidona, che in ebraico significa fiamma inferiore, evidentemente per distinguerla da quella superiore sita nel Piano di Senise. Tuttavia, il nome del paese potrebbe essere derivato, molto più semplicemente, dalla famiglia che l'ebbe in feudo per la prima volta.

Nel 1246, tra i feudatari che ordiscono per il rovesciamento della corona sveva, appare un tal Fasanella di Albidona. Per una successione feudale documentata, sarà necessario giungere agli inizi del sec. XV, quando vi risulta Francesco Castrocucco il quale, per parteggiare contro Alfonso il Magnanimo e in favore di Giovanna II, effettuando una scelta di campo che risulterà errata, viene rimpiazzato da Antonio Sanseverino, duca di San Marco. Solo dopo che Venceslao Castrocucco dimostrerà di pensarla diversamente dal padre e di essere rientrato nella sfera aragonese, otterrà la facoltà di riavere quanto sequestrato al suo genitore. Successivamente sarà un avvicendarsi di eredi, di interruzioni dinastiche, di passaggi di proprietà, al duca di Bellosguardo, al marchese di Ripalimosano, al duca di Castelpagano, fino a quel fatidico 1806 quando le leggi eversive spazzeranno via il feudalesimo.

La chiesa parrocchiale dedicata a San Michele, eretta nel sec. XVII, risente molto dei vari interventi che nel corso dei secoli, hanno sconvolto l'aspetto originario. L'interno è decorato a stucchi e contiene alcune statue processionali tra le quali spiccano quella di San Michele, lignea del '700, un busto di San Pietro e Cristo nella bara, entrambi del '700. Numerosi i dipinti: Madonna del Rosario con riquadri dei Misteri ('700-'800), Madonna e santi ('800), Madonna delle Grazie ('800), Madonna di Costantinopoli ('800), Madonna del Carmine con i SS. Giovanni Battista, Pietro e Antonio da Padova ('800), Annunciazione ('700). Inoltre, crocifisso ligneo dell'800 e fonte battesimale in pietra del '600. Tutte le opere descritte sono di artisti ignoti. Nella chiesa di Sant'Antonio sono custodite le seguenti statue lignee di anonimi scultori: San Francesco d'Assisi ('700), San Pasquale di Baylon ('700), Ecce Homo ('700), Immacolata ('800), Bambin Gesù ('700), Sant'Antonio da Padova ('800). I dipinti raffigurano: Madonna del Carmine con i Santi Francesco d'Assisi e Antonio da Padova ('700), Sacra Famiglia ('800). Inoltre, acquasantiera del '700, croce reliquiario in legno e madreperla del '700, statua in cartapesta del Sacro Cuore, datata 1899.

Nella chiesa di San Rocco statue della Pietà (in cartapesta, del sec. XIX-XX), di San Rocco (lignea dell'800), di San Donato vescovo (in cartapesta, del sec. XIX).

In questo paese venne eretto il primo monumento ai caduti della Calabria, modellato dallo scultore lucchese M. Pelletti.

In località Piano dei Monaci, siamo alla marina di Albidona, è ancora visibile una torre di vedetta cinquecentesca della rete del sistema difensivo vicereale contro le incursioni turchesche.

Il giorno delle nozze, gli amici degli sposi offrivano la pitta (focaccia) agli amici della sposa; era detto cullaccio, un pane rituale che la sposa provvedeva a spezzare e a distribuire. A celebrazione avvenuta, la suocera aspettava la nuora sull'uscio e le consegnava le chiavi di casa.

Nel caso di un decesso, come in altri paesi della Calabria, si spegneva il focolare e le donne con i capelli spettinati, iniziavano il lamento funebre sedendo sulla soglia del focolare o sopra dei materassi gettati a terra. Gli uomini col cappello in testa e il mantello sulle spalle, coprivano il viso, non essendo dignitoso mostrare le lacrime. In molti paesi quando muore qualcuno, si pone il cadavere con i piedi verso la porta perché egli possa andarsene senza ostacoli e perché la sua anima non resti nella stanza. A tal fine, si lasciano i piedi non legati. Ma, già nelle ultime ore d'agonia, si provvede a mettere sul davanzale della finestra di quella stanza, un bicchiere d'acqua affinché l'anima uscita dal corpo possa dissetarsene durante il suo passaggio.

Qui più che altrove, narra il Dorsa, c'era l'uso chiromantico delle fave. Ancor oggi la ragazza che vuole sapere come sarà la sua fortuna, aspetta il giorno di San Giovanni, prende delle fave, alcune delle quali sbucciate, altre intere e le pone sul davanzale della finestra sul fare della sera. Al mattino successivo, chiude gli occhi e mette le mani sul davanzale, se tocca una fava intera il futuro sarà roseo e baciato dalla fortuna. Enorme importanza come fatto augurale, ha il ceppo natalizio che viene posto nel focolare dal capofamiglia dopo avervi fatto il segno della croce con un dito bagnato nell'olio; questo gesto ricorda un rituale pagano e il padre esercita l'ufficio del sacerdote.

Si dice: "Visignano fu lu padri, Fuscaldu fu la madri, chi ficiru dui frati: Albidona e Bonifati".

Vestito tradizionale: "Uomo. Panno nero o blu, scozzetta e di verno il cappuccio. S'è massaro, ha la scozzetta bianca e due pistagne rosse al colletto della giacca. Donna. Scarpe con fibbia; gonna rossa trinata di oro o di argento; il nende (fornende) in capo, e sopra un pannetto rosso senza trine. S'è massara, alla gonna rossa cuce dietro le natiche una pezza quadrata di castoro rosso. In capo pannetto di castoro rosso con galloni. Nel lutto non si lava nè il nende, nè la camicia".

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

CHIDICHIMO R., Leggende e storie della Torre di Albidona, Città di Castello, Grafica.

 
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